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R Recensione

7,5/10

Wayne Shorter

Without a Net

Diamo un'occhiata alla carta d'identità: Wayne Shorter è praticamente il fratello minore di Miles Davis e di John Coltrane, gente che non mi chiede di dilungarmi per illustrarne la grandezza.

Gente che ha riscritto le coordinate culturali all'interno delle quali si muoveva la musica afro-americana (anzi, la musica tutta) quando l'Europa del calcio era dominata dal Grande Real (e in effetti, il mito di Shorter possiede qualcosa del misticismo fumoso e oracolare che avvolge la squadra del presidente Bernabeu).

Eppure, Shorter è ancora sulla cresta dell'onda: ha ottanta anni (!!!), ma non sembra curarsene troppo. Quasi che la sua superba eleganza, quasi che il suo straordinario talento esecutivo e compositivo gli avessero consentito di farsi beffe anche del tempo.

Tempo che, per restare in metafora calcistica, di norma è difensore che non difetta di concentrazione e che non ha mai paura di mettere la gamba.

Shorter se ne sbatte proprio. Scrolla le spalle e ci scruta sicuro: il suo animo è ancora poderoso, la sua fantasia è ancora sconfinata. Tanto che quasi tutti i suoi potenziali nipoti, oggi, non sarebbero in grado di infondere nel sassofono alto il calore che lui riesce a "soffiare", ad esempio, nel finale liberatorio di "Zero Gravity" (e lo fa davvero, perchè in sottofondo il pubblico applaude con convinzione, forse perchè non riesce a capacitarsi di come quel vecchietto sul palco possa sprigionare tanta energia).

Sono passati quarant'anni dal suo ultimo approdo in Blue Note, ed anche questo dato statistico rende l'idea dell'impresa in cui è riuscito il fuoriclasse pubblicando "Without A Net", lavoro ove raccoglie otto composizioni registrate quasi interamente durante la tourneè del 2011, in quartetto con Perèz al pianoforte, Patitucci al contrabbasso e Blade alla batteria.

Non sarà sfuggito a chi mastica un po' della materia come la formazione sia quanto di più classico possa esistere in ambito jazz: e in effetti Wayne qui decide di dedicarsi più che altro al passato, ne celebra la bellezza e la grandiosità, pur senza perdere nulla in termini di forza evocativa e di capacità di personalizzare ogni brano.

La sua parabola è dominata dall'eclettismo più sfrenato: come tutti i sassofonisti affermatisi negli anni d'oro, mastica Coltrane a colazione. E in effetti il suo stile impetuoso, incline al parossismo, sfibrato in lunghe frasi raccolte attorno a pochi accordi, capace di giocare con i contrasti, è un chiaro sintomo di Coltranismo.

E' altrettanto noto che Wayne, ad un certo punto, ha il coraggio e la forza di introdurre nel mondo del jazz un linguaggio personale

E' capace di razionalizzare lo spiritualismo dissennato di Coltrane e di valorizzare al meglio la propria lucidità in sede compositiva. Tutto diventa più allusivo, vaporizzato, minimale, tutto diventa un gioco di incastri e di frammenti che si compongono in un puzzle straniante.

Arrivano quindi gli strumenti elettrici, l'epopea gloriosa dei Weather Report e nuovi orizzonti pronti a svelare la propria grandezza. Anche la musica latina giocherà un ruolo determinante, consentendo a Wayne di giostrarsi al meglio fra i motivi più diversi.

Tanto che gli ultimi lavori non mostrano segni di cedimento (provare per credere "Alegria", ultimo lavoro di studio pubbicato nel 2003), e "Without a Net" non fa eccezione.

Perchè è la celebrazione di un passato sontuoso e irripetibile.

Prendete "Orbits": rimaneggia il vecchio capolavoro di Miles Davis ("Miles Smiles", anno di grazia 1966; o meglio, capolavoro dello stesso Wayne Shorter, nobilitato da Miles Davis), lo accarezza con dolcezza e ne decostruisce passo dopo passo la solennità, finchè non giunge a suonare l'aria, a celebrare il silenzio. Questa è una gemma da ascoltare e riascoltare ancora. Non è semplice da assorbire, ma è capace di rilevare dettagli sempre nuovi, entusiasmanti fraseggi, sonorità tentacolari che si fanno largo dentro una coltre schiumosa e avvolgente, con il sax che danza in solitudine, lontano da tutto e da tutti.

"Pegasus" è forse il momento più intenso e originale: registrato alla "Disney Concert Hall" di Los Angeles, si apre come fosse una colonna sonora, forse un po' ingessata ma intrisa di classicismo deviato in stile Gershwin, e poi si divincola fino a liberarsi in una improvvisazione in chiaroscuro, in cui i vari strumenti si amalgamano dentro stacchi improvvisi, timbriche e sonorità ora stranianti ora più swinganti. Siamo ai limiti dei 25 minuti ma non se ne accorge nessuno: brano impressionante dunque, degno di alcune grandi imprese passate di Wayne.

Il funk ti abbraccia con vigore lungo i solchi immaginari di "Zero Gravity to the 10th Power", il sassofono volteggia ancora dalle parti del leggendario John mentre la sessione ritmica imbastisce un discorso poderoso e vibrante, neanche fossimo ad Harlem e si dovesse raccontare di una fra le mille, possibili blackxploitation.

Il resto del disco è tanto mestiere che però non cede mai il passo alla noia. Wayne non catechizza nessuno, la sua missione (da sempre) è stupire. Il fatto che ci riesca anche ad ottanta anni mi costringe solo a darmi un pizzicotto.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 3 voti.
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ElPista 8,5/10
plaster 5,5/10

C Commenti

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REBBY alle 16:26 del 28 febbraio 2013 ha scritto:

"Prendete "Orbits": rimaneggia il vecchio capolavoro di Miles Davis ("Miles Smiles", anno di grazia 1966), lo accarezza con dolcezza e ne decostruisce passo dopo passo la solennità, finchè non giunge a suonare l'aria, a celebrare il silenzio."

Non per fare lo spaccamaroni, solo il pignolo eh, ma il capolavoro in questione è dello stesso Wayne Shorter che all'epoca (dal 1964 al 1970) militava nel quintetto di Miles Davis e firmo la metà del disco citato. Un grande fratellino minore indubbiamente.

Giuseppe Ienopoli alle 18:47 del 2 marzo 2013 ha scritto:

... rebbypedia minore ... indubbiamente!

Utente non più registrato alle 12:24 del 3 marzo 2013 ha scritto:

Bisogna letteralmente inchiarsi dinanzi a questi musicisti, che hanno scritto veramente pagini immortali di musica...

Giuseppe Ienopoli alle 14:14 del 4 marzo 2013 ha scritto:

... in purissimo stile a cinque stelle!

FrancescoB, autore, (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:15 del 15 aprile 2013 ha scritto:

Hai ragione Rebby, ho citato Miles perchè il pezzo è contenuto in un suo disco.

zagor alle 13:17 del 3 marzo 2023 ha scritto:

Questo è uno di quelli su cui devo acculturarmi, approfitto del lutto partendo dalla sempre impeccabile recensione di Francesco.