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R Recensione

9/10

Anatrofobia

Brevi Momenti Di Presenza

La frase generica che accomuna i recenti sviluppi dell’universo musicale, è che “non c’è mai niente di nuovo”. Tutto è già stato detto, tutto è già stato musicato, tutto è già stato abbondantemente ricalcato e ricopiato. Il germe inventivo e irrazionale che ha portato la musica a diventare quell’enorme globo che conosciamo oggi, non esiste più. O, meglio: non ha più ragione di esistere.

Perciò, in questo 2007, siamo stati portati a giudicare i dischi nel modo più canonico possibile: affidandoci al de gustibus, riconoscendo nelle loro trame dei riferimenti ben noti ed apprezzati, discutendone la validità o, al contrario, la mediocrità, tenendo ben presente il metro di giudizio che, inevitabilmente, spingeva a paragoni inevitabili con “qualcosa che c’è già stato prima”.

Bene, quel metro non vi servirà più.

Gli Anatrofobia sono un complesso avant-jazz torinese, attivo sin dal 1990, il cui unico obiettivo è prendere la forma canzone e annientarla, secondo un gusto personalissimo che non trova alcun riscontro né nel passato prossimo né in quello remoto. Provate ad ascoltare, ad esempio, “Tesa Musica Marginale” del 2004, e chiedetevi che cosa abbia potuto ispirare quelle trame. Se state ancora pensando, rinunciate da subito: la risposta è niente. Se vi è venuto in mente un dejà vu di un nonsochè brumoso, lontano eppure familiare, è probabile che siano le dilatazioni psichedeliche dell’immortale “Moonchild” di marca crimsoniana, ma a parte queste piccolezze, il vuoto assoluto.

Gli Anatrafobia fanno qualcosa di nuovo, l’hanno sempre fatto, e continuano a farlo.

È bellissimo vedere come nessun opera del gruppo (perché di opere, e non di album si tratta) assomigli anche solo minimamente alla precedente o alla successiva. Non troverete mai i convulsi aforismi jazzcore dell’esordio “Frammenti Di Durata” negli acidi scontri ionici di “Lecosenonparlano” (2002), oppure nella controllata autostrada rock di “Ruote Che Girano A Vuoto” (1999). Ogni lavoro è a sé stante, un capitolo completamente unico che, se applicato agli altri, non farebbe testo. Lo stesso accade quest’anno, con “Brevi Momenti Di Presenza”, un unico grande flusso sonoro di quaranta minuti, suddiviso solo per comodità in quattordici lampi di genio. Il rapporto fra artista e composizione cambia: non sono gli Anatrofobia a dettare legge ai propri pezzi, e non si assiste nemmeno ad un soverchiamento dei ruoli. Le due cose convivono in simbiosi: l’una non potrebbe esistere senza l’altra. L’una si alimenta dell’altra. L’una ispira l’altra, e viceversa.

Questa è pura e genuina improvvisazione jazzistica. Una pulsione di quaranta minuti che, come nelle tortuose anse di un fiume, viaggia a coprire i limbi di Miles Davis, John Zorn e Starfuckers, senza tuttavia prenderne ispirazione. I torinesi toccano le sponde e poi, rapidissimi, fuggono via. Sta a loro elaborare quei pochi, essenziali elementi e costruirci sopra una personale visione della musica.

Brevi Momenti Di Presenza” è un lavoro in cui tutto dev’essere ascoltato attentamente. I suoni sono pochi, lievi, controllati. C’è silenzio, moltissimo silenzio. Vere e proprie distese di assenza cromatica (“Parte 1”) che, tuttavia, fanno più rumore dei sax fumosi, dei riff psichedelici e del charleston immerso in mezzo ad una selva di controtempi (“Parte 5”, “Parte 6”, “Parte 8”, “Parte 9”, quest’ultima impostata sul modello dei Naked City). Poche rullate di batteria e poi silenzio. Un riposo strumentale che si interpreta necessariamente come un’alternativa al ritmo e a ciò che ne concerne. Impossibile smembrare il cd ed ascoltarlo pezzo per pezzo, skippando le varie divisioni. Non avrebbe più alcun senso.

Quando non ci sono monologhi recitati (“Parte 2”), e il silenzio sfuma, ecco che compaiono brandelli sonori. Piccoli, discreti. Irregolari. Veri e propri “brevi momenti di presenza”. Gli Anatrofobia possono rimanere zitti per trenta o più secondi e poi, forse, parte un feedback, o un synth, o un giro di basso, o una nota dal sassofono. Quando questo accade. E poi, se tutto va bene, il suono comincia a srotolarsi nel suo continuo, epilettico non-sense. Ma più spesso si ritorna alla quiete innaturale respirata in precedenza. E allora ci si chiede quando ricomincerà il flusso, senza accorgersi che il flusso non è mai finito e che, in realtà, le pause sono parte integrante del getto artistico.

Ultima avvertenza: se mai doveste decidere di provare l’esperienza di “Brevi Momenti Di Presenza”, sappiate che non lo capirete mai ad un primo ascolto. Vi sembrerà un’insensatezza. Lo odierete, perché non ci sono le schitarrate very cool, i coretti molto yeah, i trilli e i campanellini, gli assoli tecnici, una struttura ben definita. C’è solo e solamente avanguardia. E saprete che nessuno mai lo ascolterà, nessuno si impegnerà ad ascoltare un raffinato ectoplasma di tal specie. Tutti preferiranno perdere tempo con la solita band brit, o con le nuove promesse del pop diy, o con l’ennesimo stampino (riuscito male) di un thrash metal perso nel nulla. Nessuno lo comprerà, nessuno lo ascolterà. E voi, vi perderete colpevolmente un capolavoro.

Perché, checché ne diciate, questo è il cardine dell’ultima decade avanguardistica italiana. E sarebbe un peccato non abbeverarsi alla sua fonte. Ma poco alla volta, discretamente. Come in un "breve momento di presenza".

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Cas 9/10
REBBY 6/10

C Commenti

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Cas (ha votato 9 questo disco) alle 23:18 del 13 dicembre 2007 ha scritto:

bravo

veramente veramente geniale! tra i dieci album di quest anno!

Fufi Saintz (ha votato 5 questo disco) alle 16:33 del 14 dicembre 2007 ha scritto:

Fufi Saintz

Bravini, sì, ma il voto cozza con quanto dici, che condivido: se penso a cosa abbia ispirato tutto ciò, a cosa stia sotto, mi rispondo anch'io: niente. E aggiugno: che pizza.

Va bene i Battles, van bene gli Stars of the Lid, va bene qualsiasi avanguardia, ma o reca piacere nell'ascolto, o deve almeno esserci un'idea sotto. Se è solo flusso di coscienza finisce per annoiare (me almeno), e comunque è gia stato fatto e strafatto.

Senò sembra gente che gioca a fare il figo con un qualsiasi programmino di editing multitrtaccia, alimentando le proprie (e altrui) masturbazioni mentali.

Cas (ha votato 9 questo disco) alle 17:21 del 14 dicembre 2007 ha scritto:

ti dirò, non mi sembra solo un flusso di coscienza, ti consiglio di farti un giro sul loro sito web...ti verranno illustrate le famose idee che ci sono sotto. per quanto riguarda il voto...de gustibus!

Marco_Biasio, autore, alle 17:41 del 14 dicembre 2007 ha scritto:

Caro Filippo

Giusto il tuo commento, ma si vede che John Zorn lo conosci gran poco. Altrimenti, capiresti che quel 5 è un insulto, non a me, ma al gruppo. Non il voto in sè, ma le motivazioni che attribuisci. Rimanendo convinto che sia giusto che ognuno abbia le proprie idee, ti saluto

eddie (ha votato 5 questo disco) alle 9:30 del 22 dicembre 2007 ha scritto:

anche secondo me giocano a fare i fighi, qualcuno ci cade sempre è inevitabile, per gli altri sono pallosi e boriosi!