[Br]om
Nebula (Bel'mo)
Gli Zu teatrali e grandguignoleschi di Bromio, gli Zu infernali di Igneo, gli Zu invincibili e trivellanti di Carboniferous Incredibile quanto si possa andare avanti a parlare del miglior gruppo italiano degli ultimi ventanni senza esaurire gli spunti di riflessione, vero? Discorreremo, questa volta, dei loro tour. Anzi: di una tappa dei loro tour. La Grande Madre, la sconfinata, arcana terra russa. Non cè stata incarnazione del power trio romano che non abbia cancellato la serenità atemporale di Matrëna e delle sue rubiconde figliolette, che non abbia congelato quegli occhioni limpidi ed innocenti in unespressione di terrore perpetuo. Lavranno vista anche loro, i moscoviti [Br]om ( io?), quella scintilla di follia, avranno scorto quel furoreggiare espressivo, quellincurante anticonvenzionalismo. Lavranno adocchiato, avallato, perseguito. Fatto proprio. Ruminato e finalmente espulso, allombra della cattedrale del Cristo Salvatore, per tutta la Piazza Rossa.
Il contralto di Anton Ponomarev è unarma contundente, un ordigno a delinquere che esplode con regolarità imbarazzante, condensando il canonico fraseggio bebop con le slogature no wave di James Chance (teatralmente parlando, giacché cè sempre molta posa in questa musica, le vyvichi, come avrebbe detto Stanislavskij), lastrattismo colemaniano e le temibili abrasioni zorniane, la musica tonale e il free jazz totale della Grande Mela il cocciuto protagonismo dellottone avvicina, e di molto, le inquietudini di Nebula alle ultime prove dei Gutbucket. Contestualmente, però, sarebbe fatica vana, se le secche sincopi e i melodismi in apnea del basso di Dmitrij Lapin ma, soprattutto, il gran lavoro di Oksana Grigor'eva dietro le pelli segnatevi questo nome: avete scoperto la nuova Maureen Tucker del jazzcore non rintuzzassero a dovere, su traiettorie solo parzialmente pronosticabili (perché solo parzialmente composte?), il lavoro del sodale.
Nebula non è un disco semplice e, talvolta, come nei quasi dieci minuti di Rags, che rantolano tra luci ed ombre senza mai lasciarsi compiutamente decifrare, un po eccessivo. Linterplay fra i musicisti è però devastante, e capace di far suonare con coerenza unardita alternanza, come quella della title track (una micidiale scheggia che condensa in meno di un minuto quanto bisogna sapere sui Borbetomagus) con lirresistibile cabaret crossover di Skid (slide funk e distorsione tonitruante: i Faith No More senza Mike Patton), il tetro minimalismo di Liquid Cold con il perpetuo duello tra sax e basso in Torch (sciolto nella narrazione particolareggiata duna spy story sotto lapertura alare dellaquila zarista), linedito Coltrane che commenta rimasugli della Lydia Lunch musa onirica per Richard Kern (I Often Say Thank You) con lelettrico kazačok messo in scena in Bedsheet.
My skoro uvidimsja opjat, tovariči!
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