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R Recensione

7/10

Gutbucket

Flock

Da Jonathan Swift alle capre che tessono cravatte harvardiane sopra di una nuvola. “Flock” è questo: noncurante demenza che si traduce in ferrea applicazione, rigorosa costruzione musicale, sconfinato atto d’amore per la sinapsi umana. Il jazz-rock mutuante di “A Modest Proposal” (inteso non come nei manuali critici, ma così com’è stato scritto: jazz + rock) ha ormai del tutto abiurato la sua componente rozza e selvaggia, per farsi, in questa quarta prova sulla lunga distanza, adrenalinica aggressione intellettuale. Si è detto e scritto tanto sulle forme “moderne” che gli strumenti a fiato possono impersonare, specie quando vengono astratti dalla funzione originaria nella quale si è sviluppato il loro mito e si accostano a fonti ben diverse da quelle d’origine. I Gutbucket navigano sempre al largo dell’isola jazzcore, la rimirano a lungo dalla chiglia ma non tentano mai un approdo convinto. Ne risulta così che l’abrasione strumentale – ancora niente voce, com’è giusto che sia – procede più per sovrapposizione generale che per effettiva potenza particolare.

I risultati di “Flock” non si fanno inizialmente capire e, men che meno, amare. Il tentativo di generare torrenti melodici dalle spine dissonanti di “Fuck You And Your Hipster Tie”, le poliritmie impossibili della complessa “D0g Help Us”, il cafè-noir in sottile crescendo post rock tortoisiano di “Tryst N’ Shout (Why Are You So Old?)” appaiono, aldilà di suggeriti conflitti intergenerazionali, ben poco sentiti e fin troppo meditati, calcolati sul coefficiente dell’effetto sorpresa, direttamente proporzionale alla destrezza tecnica con la quale vengono sparati, a volume sostenuto e parabola tortile. Dunque, dalla lista degli invitati viene subitaneamente escluso chi, all’epoca, non era riuscito a flirtare nemmeno con i melismi più pronunciati del predecessore. Ma a procedere per esclusione si rischierebbe una mattanza, a tutto discapito dell’effettiva attrazione che esercita il disco, dopo i canonici ascolti di decodifica (chissà che si perda il brutto vizio di ascoltare le canzoni una volta sola e pretendere di saperne già vita, morte e miracoli).

Già, i miracoli. Sebbene, di per sé, non si possa proprio parlare di album facile, in coda a “Flock” i Gutbucket complicano ulteriormente la faccenda: scrivono una suite di diciotto minuti, “Born Again Atheist” e, per spasmo divino (di vino?), la dividono in tre movimenti. Il bebop di “Dyslexic Messiah (Where's Your Dog?)” viene bruciato in centottanta, carichi secondi, tra ripartenze acid punk e avvitamenti colemaniani. “Sacrificial Vegan” sceglie, da subito, di creare terra bruciata attorno a sé, prima con vampate avant esteticamente poco attraenti, poi con la messa in scena di un catatonico rituale dall’ipnotico dinamismo frippiano e dalla trama canterburiana. Giusto per finire la scorta di aggettivi derivati in nostro possesso, è nella terza parte, “Turning Manischewitz Into Wine”, che la ricerca sonora si eleva al suo compimento: l’accompagnamento ritmico scompare, la chitarra di Ty Citerman si ammutolisce, il sax è lasciato libero di lanciarsi in una lunga tirata solipsistica impro-jazz, violenta e scorticante, che depura il disco da ogni sorta di eccesso e lo rilancia verso un finale epilettico e dinamitardo.

I tanti punti interrogativi diventano, allora, crepitanti affermazioni esclamative. “Give Up”, per esempio, è una di queste, romantico klezmer appena sporcato da una chitarra distorta. La stessa sei corde, il cui apporto quantitativo mancava per lunghi tratti in “A Modest Proposal” – finendo per penalizzarlo –, guadagna in questi solchi nuovi spazi e rinnovata vitalità, ferme restando la sua indiscussa subalternità agli ottoni (“4 9 8”, la già citata “Fuck You And Your Hipster Tie”) ed una certa propensione alle manovre di puro equilibrio dialettico (“Said The Trapeze To Gravity”, che sconfina a tratti nel noise ipersaturo dei Bushman’s Revenge).

Riaccogliamo volentieri tra noi la pecorella smarrita. Ops, il caprone…

V Voti

Voto degli utenti: 3/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Totalblamblam (ha votato 3 questo disco) alle 13:22 del 30 giugno 2011 ha scritto:

sfigati non ho altro da dire ('annate a lavora' sarebbe d'uopo)dopo l'ascolto dei tre brani qui linkati