Mario Schiano
On The Waiting-List
Maledetti noi che ignoriamo quasi completamente la straordinaria vicenda del jazz alternativo italiano (e io mi metto in prima fila, fra i colpevoli).
Già, siamo dei caproni: perché abbiamo messo in pista numerosi talenti sopraffini, eppure non ne parliamo quasi mai. L'Italia non era e non è solo canzone d'amore, Sanremo, e neppure solo cantautori impegnati o rock pseudo-alternativo. L'Italia era (ed è) anche jazz. Ma jazz dotato di una personalità marcata.
Mario Schiano era il capofila degli originali. Come lui nessuno mai, mi verrebbe da dire: quando se n'è andato nel 2008, ha lasciato un vuoto incolmabile.
In termini di pure capacità musicali, abbiamo avuto musicisti forse più dotati: un orecchio come quello di Massimo Urbani nasce una volta ogni cent'anni; un pianista forbito ed eclettico come Luca Flores si trova di rado anche nella patria del jazz.
Mario è stato qualcosa di diverso: un visionario vero e proprio, oltre che un padre per molti fra i big che verranno (primus inter pares proprio Urbani, scoperto ancora adolescente da Mario, e subito catapultato fra i musicisti di professione già nel 1973, per incidere lo stupefacente Sud). Un uomo coraggioso e senza compromessi, a dispetto della modestia, così come lo saranno Giorgio Gaslini o Gaetano Liguori (chi non ce l'ha si procuri il suo fantastico Cile Libero Cile Rosso). Poche le concessioni allo show-biz, io ricordo giusto una strana apparizione in "Caro Diario" dell'amico Nanni Moretti, e poco altro.
Un musicista di fragile ma determinata poesia. Mario è nato nella terra della canzone (a Napoli), eppure può a ben ragione fregiarsi del titolo di massimo esponente della scuola free italiana. Il tutto, paradossalmente, senza che questo lo porti a rinnegare le proprie radici. La musica di Mario era intrinsecamente e profondamente radicata nella tradizione culturale del Golfo: Schiano era davvero il Pulcinella della musica libera.
La sua arte era eccentrica, sbilenca, meno radicale e furibonda di quella suonata negli USA, meno feroce e violentemente rumorista di quella partorita nello stesso periodo in Germania e in Inghilterra (penso a sperimentatori strazianti, che abbattono i confini fra suono e rumore, come Evan Parker, Derek Bailey, Manfred Schoof).
Mario aveva un gusto ironico e agrodolce per la melodia. Il suo sax contralto era figlio della tradizione, ma ne frantumava con intelligenza ed estro le fondamenta.
E On The Waiting-List, per chi scrive, è il suo capolavoro. Ancor più maturo e centrato di Sud, mette a fuoco il free partenopeo, le sue particolarità irrinunciabili, la sua assoluta originalità. Esce nel 1974, ma sarebbe originale anche oggi, perché ha veramente codificato un linguaggio.
Mario sembra suonare in modo approssimativo, ma si tratta di un abbaglio: per dire, la dolcissima Flash-Back, che pare quasi uno scherzo, in realtà condensa il suo gusto per la melodia mediterranea, e cammina in punta di piedi, acidula, ariosa.
I passaggi polifonici sono ancora più interessanti: anche Mario, come i vari Trane, Sanders, Shepp, usa il rumore in chiave espressiva. Ma è decisamente meno virulento: il suo rumore pare una ventata d'aria fresca, è declinato in chiave ironica, quasi fanciullesca. Gli intrecci fra gli strumenti evitano l'affastallamento di voci della musica afroamericana e giocano di più con i ruoli, con i pieni e con i vuoti.
Happy Night and Golden Dreams in questo senso è una gemma: Schiano sembra a metà strada fra Mingus e Albert Ayler (soprattutto: in alcuni momenti la definizione di Ayler del sud Italia gli calza come un guanto), ma nel frattempo inietta nel loro americanissimo blues una ventata di eccentricità mediterranea, quasi a voler rimarcare con forza le proprie radici.
Il breve proclama quasi tutto all'unisono di Carola d'Amore porta invece dalle parti dell'Art Ensemble of Chicago, ma il rigoroso strutturalismo della Wind City viene accompagnato con dolcezza fra uliveti e brezza marina. La title-track, con le sue buffe impennate e le voci stralunate di sassofono contralto, tromba e trombone (tutti sempre sull'orlo dello sberleffo), è forse il pezzo più bello in assoluto.
Alla fine ti viene da pensare che ti stiano prendendo in giro: questo disco non può essere uscito nel 1974, oppure il buon Schiano era un maledetto genio visionario. Ma sul serio.
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