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R Recensione

7,5/10

Roswell Rudd, Jamie Saft, Trevor Dunn, Balázs Pándi

Strength & Power

Dopo Wadada Leo Smith ed il suo magmatico “Red Hill” del 2014, tocca ora ad un altro dei grandi maestri del jazz, il trombonista Roswell Rudd, incamminarsi sul sentiero tracciato da RareNoise verso una ridefinizione attuale del free jazz. Un intento che, a quanto pare, passa attraverso alcune conferme, l’assoluta libertà espressiva e la composizione istantanea nel cuore dell’improvvisazione, ed una novità, consistente nell’affiancare l’idioma maturato attraverso i decenni da questi autorevoli esponenti del genere con il linguaggio multiforme di musicisti che potrebbero esserne figli, e per i quali il jazz non è una “cosa” ma è un “come” (per dirla con Bill Evans), da applicarsi ad una pluralità di linguaggi e territori musicali. La formazione di “Strength & Power” ricalca da vicino quella di “Red Hill” con la sola differenza di Trevor Dunn al contrabbasso (Mr. Bungle, Mike Patton, John Zorn e Tomahawk fra le sue esperienze) al posto di Joe Morris: confermati dietro ai tamburi Balázs Pándi ed al pianoforte Jamie Saft, che ha allestito la session improvvisata nei suoi studi sulle Catskills Mountains, vicino a Woodstock.  

Per spiegare chi sia Ruswell Rudd invece bisogna ricorrere ai sacri testi di storia (del jazz). Nato nel 1935, inizia le proprie esperienze nel free con Steve Lacy, registra con i maggiori esponenti del genere, da Archie Sheep a Cecil Taylor ed Albert Ayler, e collabora con la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden. A partire dagli anni settanta inizia un lungo peregrinare fra paesi lontani, dall’Africa alla Mongolia, fino al Nord Europa, guidato da una visione senza confini, sviluppando collaborazioni con svariati musicisti locali e consolidando un’intesa con Toumani Diabate. L’incontro fra i quattro immortalato su disco sembra avere trovato subito le giuste coordinate in termini d’interazione ed ascolto, e la musica che ne è scaturita, pur nel suo mutevole andamento, assume quasi naturalmente un’identità precisa, quasi fosse il frutto di  più intense e ripetute frequentazioni.

Poche note liquide del pianoforte, i tipici vocalismi del trombone di Rudd e siamo subito dentro alla title track, un flusso ininterrotto di diciotto minuti nel quale la voce sfrangiata del trombone è sostenuta dal drumming poliritmico di Pándi, dal potente supporto del contrabbasso di Dunn e dall’apporto armonico/ritmico del piano di Saft. Il pezzo offre un esempio palpabile della qualità dell’intesa creativa messa in campo: verso il tredicesimo minuto la tensione sembra calare per giungere ad una conclusione in fading, ma bastano alcune frasi di Rudd ed un motivo quasi giocoso a fornire ai tre soci la scintilla per riaccendere la fiamma dell’improvvisazione, questa volta con maggior enfasi ritmica ed un drumming quasi tribale. Il suono di Rudd, così personale e vocalistico, ma nel contempo ricco di echi blues ed accenni alla tradizione del jazz, si integra alla perfezione con le architetture dei tre giovani compagni, sia nei momenti più lirici e rilassati come la ballad “Luminescent” o l’avvio di “Cobalt Is A Divine”, che nelle travolgenti onde ritmiche di “The Bedroom” spinta da Pándi su tempi iper veloci, decisamente inusuali in un disco jazz.  

La rarefatta “Dunn’s Falls”, che ospita una bella sezione in solo fra il fiato del maestro Rudd, il contrabbasso di Trevor Dunn ed il pianoforte preparato di Saft, rappresenta il momento di più evidente spinta sperimentale, mentre il finale di “Struttin’ For Jah Jah”, riassumendo le caratteristiche peculiari del lavoro, suona anche omaggio alla storia del jazz con i suoi numerosi rimandi del trombone ad una atmosfera da street parade di New Orleans e del piano di Jamie Saft, musicista spesso in sintonia con lo spirito più profondo del blues, allo stile stride. Come per “Red Hill” un ascolto che richiede attenzione, ma un’esperienza da fare e ripetere, soprattutto per chi ancora manifesta scetticismo nei confronti del free jazz: sarebbe bello che “Strength & Power” potesse diventare la breccia nel muro di indifferenza o timore di qualche giovane ascoltatore.

Un’ottantenne e tre (più o meno) quarantenni che suonano insieme e si ritrovano con facilità sul medesimo percorso intellettuale: ecco la forza ed il potere della vera musica libera.

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FrancescoB alle 12:17 del 5 marzo 2016 ha scritto:

Bella recensione e segnalazione interessante, curioso di recuperare il lavoro.

Paolo Nuzzi alle 9:19 del 8 marzo 2016 ha scritto:

Ottimo, recuperò anch'io. Adoro Rudd, insieme a Grachan Moncur III ha dato al trombone un ruolo importantissimo nel jazz, sposando tradizione e ricerca. Lo cercherò. Ottima recensione, complimenti.