The Grip
Celebrate
Celebrarsi e celebrare. Il nuovo disco dei The Grip sta proprio in questo, nellinnalzare unode al jazz libero, in quella terra di mezzo che prende il largo dal bebop di Art Blakey e Charlie Parker allhard bop di Julian Cannonball Adderley e Charles Mingus. Il trio, con base a Londra, formato da Finn Peters (flauto e sax), Oren Marshall (tuba) e Tom Skinner (batteria), riunitosi col nome di un famoso disco free jazz di Arthur Blythe, ha messo al mondo Celebrate, racchiundendo al suo interno il meglio delle rispettive esperienze musicali. Peters è uno dei più talentuosi jazzisti inglesi (ha lavorato con pezzi da novanta come Frederic Rzewski e Bill Frisell); Marshall è un pioniere della tuba acustica ed elettrica tanto da meritarsi lappellativo di Jimi Hendrix della tuba; Skinner, infine, è uno dei batteristi più richiesti in Europa (e ha collaborato pure con quel pazzo di Matthew Herbert).
Nel sound dei The Grip confluisce lhip-hop più alternativo dei Sa-Ra e Shabazz Palaces, il bop di Miles Davis e Max Roach, il free jazz di Albert Ayler e Ornette Coleman, il gusto enarmonico dei compositori davanguardia e, spiriti sovrani, il virtuosismo, la follia, la dote, il talento, la maniera, lincoscienza. E sta proprio qui tutto il divertimento nellascoltare Celebrate, dalle incessanti pause e ripartenze ritmiche di Acorn al diabolico intreccio libertino di The 199 blues, attraverso il gioco in chiave di basso di Compost fly, la progressione psichedelica e indianeggiante di Saladin e linspirazione pneumatica di Kailash. Lidea di un jazz sociale per dirla alla Charlie Haden si alleggerisce qui di qualsivoglia sovrastruttura propagandistica, lasciando intatto quello spirito di emancipazione e solidarietà caratteristico del free jazz lutherkingiano.
Questi tre musicisti di comprovata esperienza sul campo, provenienti da territori europei diversi, nutrono una passione comune per le forme astratte del jazz, che astratto lo è di per sé. Le direttrici futuriste di Balla, il punto/linea/superficie minimale di Kandinsky, la decostruzione teorizzata da Jacques Derrida e il dada di Tristan Tzara: tutto si alterna in Celebrate a formare quel miscuglio anarchico e gioviale che va sotto il nome di musica-colore. Dunque un bel disco, colorato e pieno di sorprese, confermando quanto il free jazz sappia farsi amare/odiare per la sua assoluta mancanza di disciplina.
Tweet