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R Recensione

7,5/10

Thumbscrew

Convallaria

Le residencies sono un istituto tipicamente statunitense che permette ad artisti dei più svariati campi, ospitati in strutture dedicate, di mettere a fuoco un progetto specifico durante un periodo circoscritto. La seconda prova di Thumbscrew è nata in questo contesto, una residenza presso il City of Asylum, organizzazione creata per gli scrittori in esilio apertasi di recente a musicisti ed altri artisti, a Pittsburgh nell’estate del 2015. Qui, durante due settimane, il bassista Michael Formanek, la chitarrista  Mary Halvorson, ed il batterista  Tomas Fujiwara hanno potuto sviluppare il seguito della loro prima avventura in trio, componendo e facendo lievitare le undici composizioni che costituiscono “Convallaria”, il nome di una pianta dal dolce profumo e dalle proprietà venefiche, della famiglia del mughetto, ritenuto dalla Halvorson particolarmente indicato a rappresentare la proposta del trio.

Nella musica di Thumbscrew è bandita qualsiasi tradizionale struttura compositiva, sostituita da un incessante e stimolante dialogo fra la ficcante chitarra, la potente vibrazione del contrabbasso ed il multiforme drumming. La partnership e la capacità d’interazione fra i tre musicisti, tutti anche membri dell’ Ensemble Kolossus di Formanek, assicurano traiettorie sonore avventurose e non convenzionali, nelle cui mappe emergono, di volta in volta, influenze e linguaggi riconoscibili, sebbene piegati e trasformati da un disegno complessivo poggiato sul concetto di libertà espressiva ed improvvisazione. Così si può azzardare a parlare di rock per la carica dell’iniziale Cleomeo per il riff posto al centro della mini suiteThe Cardinal and the Weathervanedi pulsazione ritmica jazz per Barn Fire Slum Brew e funk per “Samsonian Rhythms,” di uso strutturale dell’elettronica in  “Screaming Piha”. Più vicini alla forma libera lo scorrere ambientale di “Trigger”, il free di “Tail of the sad dog”, di “Spring Ahead” e di “Danse insensè” che evolve in un solo/rompicapo  di micropercussioni di Fujiwara. Anche in composizioni dalla struttura apparentemente più decifrabile il trio riesce a sorprendere con la propria attitudine iconoclasta: succede nella title track dove semplici moduli ritmici si intrecciano al riff iterativo della chitarra arpeggiata fino a lasciare spazio a due soli di basso e batteria e, in misura ancora più evidente, nella conclusiva “Inevitabile”, l’unico pezzo con una vera e propria base melodica, dai vaghi aromi hawaiani, che viene continuamente intercalata dai fremiti fuori tono della scalpitante chitarra della Halvorson. L’impressione finale è quella di una centrifuga nella quale gli elementi introdotti, appartenenti alla cultura musicale tradizionalmente conosciuta, vengono rielaborati ed esposti in contesto e forma innovativi costituenti la cifra espressiva del gruppo. Per entrare in sintonia occorre qualche ascolto scevro da aspettative: alla fine potreste ritrovarvi a vostro agio nel libero mondo Thumbscrew

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