Prince
20Ten
L’umanità si interroga da secoli: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
Ma soprattutto, riuscirà mai Prince a pubblicare un disco veramente orribile, senza possibilità di replica, insomma (per farla breve) un disco semplicemente brutto?
Quest’ultimo è di gran lunga l’interrogativo più interessante, anche perché sinora il Principe, pur con qualche caduta di stile e qualche passaggio a vuoto, non ha mai veramente deluso. In qualunque disco, fosse anche il peggiore della sua carriera, si è intravisto un barlume della sua classe, magari piccolo piccolo, ma capace di meravigliare come un bagliore fra le foglie, capace di rassicurare i fan come la sensazione del respiro.
Se ne potrebbe aggiungere un altro: perderà mai il Principe un briciolo della propria sconfinata vanità, del proprio smisurato ego?
Qui però la risposta è ancora più semplice: no.
Prince, superata la soglia dei cinquanta, è ancora lui. Il più grande vanitoso della storia del pop. I capelli ingrigiti ed il mezzo secolo di vita (ricchissimo di eventi) non l’hanno cambiato di una virgola: la sua sicumera è ancora intatta, la sua voglia di stupire pure. Come altrimenti giustificare un titolo esoso come “Future soul song”? Prince è veramente convinto di rappresentare il futuro del soul, lui che vanta una carriera ultra-trentennale, decine di dischi, classifiche dominate per oltre un decennio e grandeur senza paragoni?
Io credo di sì, Prince vuole ancora essere il futuro della musica, è sicuro di riuscire nell’impresa. E questo disco, almeno in alcuni momenti, ne è la conferma.
Intendiamoci, nulla di epocale, però qua e là il Principe piazza ancora i colpi del fuoriclasse, magari a tratti un po’ imbolsito, ma che non ha dimenticato come si scrivono le canzoni; colpi che possono riuscire soltanto ad un fuoriclasse perfettamente al passo con i nostri tempi, particolarmente ricchi per new-soul, r’n’b e dintorni (universo che il nostro ha contribuito in modo determinante a forgiare, chiedere alle varie Erykah, Rox & C.).
Veniamo a questo 20Ten: “Future love song” è una soul-ballad sospesa ed ipnotica che in qualche momento evoca la magia irripetibile di “The beautiful ones” (targata “Purple Rain”). “Walk in sand” ne è la copia leggermente sbiadita, ma comunque valida. Non mancano altre composizioni lodevoli: lo scatenato elettro-funk di di “Compassion” riporta direttamente ai tempi di “1999”, l’atmosfera è altrettanto festaiola, la danza più sfrenata una conseguenza inevitabile. Prince è in piena forma anche quando ritorna verso i territori a lui più cari, ovvero quando si immerge nuovamente nel Minn-sound in tutto il suo splendore: “Sticky Like Glue” e “Sea of everything” magari non saranno epocali come una “Kiss” o “I if was your girlfriend”, ma si fanno rispettare, vantano ancora un groove notevole e ritornelli acchiappatutto come se ne sentono sempre troppo pochi.
Sarà questo l'ultimo colpo di coda di un genio? Preghiamo tutti insieme che non sia così; anche perchè, vista la qualità di questo lavoro, la speranza che il nostro regali altre perle non è infondata.
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