Thundercat
It Is What It Is
Iniziamo partendo dal fondo, con i nomi che contano. Kamasi Washington, Steven Ellison, Stephen Bruner: la trimūrti della black music contemporanea, tre amici e colleghi che da anni si rimbalzano a vicenda featuring e ospitate nei rispettivi dischi, simbolo di uno sconfinato talento perennemente sulla cresta dellonda mediatica (lo stesso che, secondo un grossolano articolo di Noisey di un lustro fa, aveva riportato il jazz al popolo) che, di anno in anno, naufraga sempre più in unimpeccabile e dunque sconsolante leziosità. Tra le vacue luccicanze del diorama di Flamagra (2019), qualcuno se lo ricorderà, compariva anche linconfondibile basso di Thundercat, in uno dei brani meno essenziali della corposa tracklist (The Climb): in It Is What It Is, sophomore dellacclamatissimo Drunk (2017), FlyLo non solo cofirma undici brani su quindici, ma si perita di pareggiare da subito i conti, stampando le sue sognanti tastierone astrali nellaccattivante ouverture, Lost In Space / Great Scott / 22-26. E poi Kamasi, non lartista in evidente declino dellultimo biennio, ma anzitutto il gran sacerdote di The Epic (2015), irripetibile cornucopia nella cui formazione Bruner era entrato in pianta stabile: una collaborazione divenuta già sporadica nel successivo e ben più debole Heaven And Earth (2018), di fatto limitata alle sole The Invincible Youth e Song For The Fallen. Quel Kamasi, il leone indomito della rinascita jazz losangelina, lasso nella manica di un singolo perfetto come Them Changes, regala allonirica e rotonda fusion quadridimensionale di Innerstellar Love la sua migliore creazione degli anni recenti: un sanguigno e romantico assolo post-bop stretto nella morsa di un contagiri ritmico che non smette di crescere.
Se il valore di un disco dovesse misurarsi dallo status dei musicisti chiamati a raccolta, It Is What It Is assumerebbe i crismi di un evento pressoché unico. Nello spazio compresso di poche decine di minuti si alternano tra gli altri, oltre a Ellison e Washington, Childish Gambino, BADBADNOTGOOD, Miguel Atwood-Ferguson, Sounwave, Steve Lacy, Louis Cole e Brandon Coleman (e la lista potrebbe continuare). Di per sé non una grande novità: se con la svolta di Flamagra FlyLo sembrava destinato a ripercorrere la parabola del Thundercat di Drunk (dischi lunghi, cuciti su misura per gli ospiti), il Bruner di It Is What It Is operetta dedicata al giovane amico rapper Mac Miller, scomparso prematuramente nel settembre 2018 e omaggiato nel morbido soul-hop di Fair Chance, assieme a Ty Dolla $ign e Lil B si rifà invece curiosamente al coraggioso format che diede la notorietà a Ellison (dischi brevi e frammentati in cui la quantità di ospiti sia inversamente proporzionale al minutaggio complessivo). Nellordine, dunque: ipertecnici incisi zappiani che farebbero andare fuori di testa qualsiasi moderato riccardone (How Sway), frammenti di elegie soulish à la Adrian Younge (How I Feel), bombastica disco vocoderizzata e macerata su nastri magnetici che buttano fuori acido (Funny Thing), la sospesa e raffinata lounge-jazz di King Of The Hill (inconfondibili le tastiere di Matt Tavares, al passo daddio con la band madre), il sornione soul-funk dannata di Black Qualls e lautoironico quadretto di Dragonball Durag.
Della leziosità, allora: fin qui tutto bene, a patto che vi piacciano i fuochi dartificio. Se, invece, siete fra i fastidiosi demodé che ancora badano alla sostanza e a cui certo narcisismo dopo un po satura, tanti auguri a voi: troverete un solo brano la cui scrittura regga dallinizio alla fine e non è certo la giocattolosa centrifuga j-funk al galoppo sintetico di I Love Louis Cole, ma la title track di chiusura, alla cui meditativa prima parte (costruita su lick, arpeggi e intervalli jazz di incomparabili gusto e raffinatezza) si oppongono gli intensi intarsi da madrigale jazz-hop della seconda. È unoasi di sobrietà in un ottovolante stroboscopico in perpetuo movimento, cinque minuti (su trentotto) in cui si prova a raccontare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso: troppo poco.
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