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R Recensione

7/10

Vasil Hadzimanov Band

Alive

L’importanza dei Weather Report nella storia della musica è materia da tesi di laurea o trattato specialistico, sedi idonee a descrivere ed analizzare la portata innovativa e la spinta all’integrazione, musicale ed etnica, che è il più grande risultato scolpito nei lavori del gruppo di Joe Zawinul e Wayne Shorter. La propagazione di quell’idea di musica integrale è stata vastissima, e non ci si stupisce a trovarne, alle latitudini più estreme, qualche traccia, qualche germoglio nato da quelle spore etnojazz seminate fin dai primi anni settanta. Qualcosa deve essere arrivato sicuramente anche in Serbia, paese di Vasil Hadzimanov, un pianista diplomato alla Berklee College di Boston, con anni d’esperienza ed illustri collaborazioni alle spalle, come quelle con Antonio Sanchez, David Gilmore e l’eclettico violinista Nigel Kennedy.

Vasil si è dato una missione: portare dentro al linguaggio del jazz ritmi e melodie della tradizione balcanica, frequentata fin dall’adolescenza all’interno di una famiglia di musicisti. L’intento, perseguito a partire dalle prime prove discografiche pubblicate nel proprio paese, (“Razloga Za” del 2001, “Kafanki” del 2003, “3” del 2007 e “Zivota Mi” del 2009), risulta meno esplicito in questo “Alive”, debutto della band sul panorama internazionale, e sesta uscita in assoluto, registrata nel corso del tour serbo dell’autunno 2014. La performance è percorsa da una vibrante tensione esecutiva che ingloba le tendenze etniche in un flusso inarrestabile e dinamico alimentato da jazz, prog e fusion, ed arricchito dall’essenziale voce del sassofono alto di David Binney, personalità di spicco della scena jazz di New York, uscito da illustri orchestre come quelle di Gil Evans e Maria Schneider. Il disco restituisce la carica e la velocità che s’ intuiscono propri degli show della band, completata da Miroslav Tovirac al basso, Peda Milutinovic alla batteria, Branko Trijic alla chitarra e Bojan Ivkoviv alle percussioni: l’avvio è al fulmicotone, con “Nocturnal joy”, tema che richiama le melodie nordiche dell’ Esbjorn Svensson Trio, e lascia ampio spazio al solo non accompagnato dell’ospite statunitense, seguita dalla ribollente “Zulu”, condotta su un irresistibile groove di chitarra e sax all’unisono.

Due pezzi per oltre venti minuti, al termine dei quali la temperatura altissima va riportata a valori più accettabili: a questo provvede “Odlazim”, improvvisazione jazz al piano elettrico che prelude ad uno dei momenti più affascinanti del concerto,“Dolazim”, sviluppata su un riff da blues del deserto scappato ai Tinariwen, preludio ad un dialogo psichedelico fra tastiere e chitarra. Detto del pezzo meno riuscito del disco “Tovirafro”, che mischia su una grassa base funky canto orientale e vocalizzi astratti, il programma riserva ancora l’elegante passo a due per piano e sax di “Razbolje Se Simir List”, l’infuocata performance al sax di Binney sulla movimentata “Uaiya”, e la mini suite fra elettronica e fusion della conclusiva “Otkrice Snova”. Al termine dell’ascolto tanta dinamica fa  rimanere col fiato un po’ corto, ma l’esperienza giustifica pienamente il piacere di fare la conoscenza di Vasil Hadzimanov e la sua band.

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