Keiji Haino & Sumac
American Dollar Bill Keep Facing Sideways, Youre Too Hideous To Look At Face On
Sulla strada per la scrittura del terzo disco lungo, successore dellimpegnativo e importante What One Becomes, i Sumac di Aaron Turner la combinano grossa: un salto ai Goksound Studios di Tokyo si trasforma nel più classico degli ascensori per il patibolo, una visita di cortesia si ammanta di aura mefistofelica. Colpa, o merito, della figura longilinea di Keiji Haino, un nome che anche per i non addetti ai lavori non dovrebbe aver bisogno di particolari introduzioni (anche perché lavorare di sintesi, in questi casi, è sempre particolarmente difficile). In poche parole, insomma, una cosa tira laltra e ci scappa la collaborazione. Se vi state chiedendo come potrebbe mai suonare un prodotto a quattro mani tra due delle più particolari intelligenze dellultraheavy internazionale la fisicità strabordante del post metal 3.0 dei Sumac, il destrutturato butō noise di Haino la risposta giace fra le pieghe di questo coraggioso, ambizioso American Dollar Bill Keep Facing Sideways, Youre Too Hideous To Look At Face On.
Tre pezzi, due dei quali suddivisi in due parti, oltre unora di massacro. Se si escludono le levitanti distonie jazz su cui si apre il sipario di Im Over 137% A Love Junkie And Still Its Not Enough Pt. I (anchessa, tuttavia, decostruita in un finale di astrazioni cacofoniche), linsolito combo satura ogni fibra del disco vomitando incandescenti scorie metalliche a gittata continua e sbriciolando imponenti architetture sonore in catacombali macerie impro-noise. Non meno che impressionante la forza belluina della sezione ritmica dei Sumac, seconda, nel genere, solo a quella degli Ulcerate con un picco, delirante, nella geenna free form di What Have I Done? (I Was Reeling In Something White And I Became Able To Do Anything I Made A Hole Imprisoned Time Within It Created Friction Stopped Listening To Warnings Ceased Fixing My Errors Made The Impossible Possible? Turned Sadness Into Joy) Pt. I ma, naturalmente, a spiccare sul resto sono i ben noti istrionismi della primadonna Haino che, negli oscuri ed irrisolti drone della sezione centrale di Im Over 137% A Love Junkie And Still Its Not Enough Pt. II, arriva a portare sulla scena un frammentato monologo la cui intensità espressiva trova unadeguata sponda solo nel fluttuare estatico ed errante delle chitarre (un indistinto flusso shoe-metal à la Jesu).
Certo, per essere eccessivo è tremendamente eccessivo, sfinente nelle intenzioni e nel risultato finale, tanto che ad un certo punto è legittimo chiedersi se proseguire nellascolto valga effettivamente la pena (se passate indenni i venti minuti di ferro della title track, aggrappandovi magari a quei sardonici sbuffi di flauto che di tanto in tanto scalfiscono la muraglia chitarristica, siete già a metà strada). Ma, a ben pensarci, ci si poteva aspettare qualcosa di diverso?
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