R Recensione

7/10

Slobber Pup

Pole Axe

Per affrontare “Pole Axe” occorre lasciare da parte categorie come composizione, struttura o arrangiamento, e fare spazio ai concetti di istinto, estemporaneità ed ascolto reciproco. La seconda prova di Slobber Pup s’inserisce nel filone dell’etichetta RareNoise rivolto all’improvvisazione totale, virando decisamente rispetto al primo episodio, in virtù della presenza del tellurico sassofonista svedese Mats-Olof Gustaffson, presente in formazione al posto del bassista Trevor Dunn. Se su “Black Aces” erano le chitarre di Joe Morris e le tastiere di Jamie Saft ad incendiare un'atmosfera heavy e psichedelica, qui l'enfasi è sul ruggente, pigolante e rumorista sax di Gustafson, ed il clima in alcune sezioni (“Incendiary Axe” su tutto), può richiamare le voci di illustri epigoni del free come Albert Ayler o Archie Sheep. Ma, attenzione, parliamo di un disco RareNoise, citare generi codificati come il free jazz può rivelarsi fuorviante, dato che l'imprevisto e l'anomalia, così come l’intento di creare nuovo lessico partendo da vocabolari conosciuti, sono parte costituiva del progetto. 

Si giustifica così che all’eloquio para jazzistico di Gustafson siano affiancate la batteria “infinita” di Balázs Pándi, utilizzata in funzione paritaria rispetto agli altri strumenti, la chitarra di Morris, che compendia rock, blues e Derek Jarman, e l’organo di un altro maestro di eclettismo come Jamie Saft, ormai uomo chiave di tante avventure dell’etichetta. Il risultato finale prodotto da tale assortita compagnia consta di tre porzioni di musica catturate a dicembre 2013 presso il Potterville International Sound di Jamie Saft, nelle Catskills Mountains. La lunghissima (29:34) “Pole Of Combustible Memory”, che vive di alternanza fra parti frazionate e ritmiche, rifrazioni psichedeliche e larghi spazi solisti di sax e chitarra, le ebbrezze alterate di “Bring Me My Desire And Arrows To Shoot” (17:49) dominata dall’organo e dai synths analogici di Saft, ed il breve assalto sonoro ayleriano in quattro minuti di “Incendiary Axe”, in chiusura. “Una condizione di profondo ascolto tra i musicisti, dove il tempo è percepito intimamente da tutti, ma non c’è la necessità di definirlo nei canoni consueti. Tutti sentono la pulsazione, nonostante l’attenzione sia posta sull’ampio respiro della musica”. La definizione di “glacial time” di Morris restituisce in modo puntuale l’intento della registrazione e l’adesione ai canoni estetici citati da parte dei musicisti appare completa. Non si può, però, fare a meno di porre l’accento sull’apporto esemplare di Balázs Pándi, che mette il proprio kit al servizio della creazione collettiva, proponendo di continuo moduli ritmici, colori e beats essenziali: ascoltate come riesce ad incuneare un loop ritmico anti climax al centro del pezzo più lungo, intorno al decimo minuto, in un momento di temporanea calma.

Mai adeguarsi alla routine quando si ha a che fare con tipi come gli Slobber Pup.

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