V Video

R Recensione

10/10

Charles Mingus

Mingus Ah Um

Quando si parla di Charles Mingus, scegliere "il meglio", o presunto tale, è impresa ardua. Ai limiti dell'impossibile: la sua carriera è talmente vasta, ricca, longeva, complessa, indefinibile etc... che la scelta non può che rivelarsi puramente soggettiva, anche laddove ancorata a (presunti) parametri oggettivi.

Perché Mingus è stato troppo, da qualsiasi punto di vista lo si consideri: personaggio fuori dalle righe e complesso, omone complessato a causa delle origini "ibride" e delle conseguenti, feroci, discriminazioni subite. Personaggio irascibile, violento, eppure capace di una dolcezza infinita: e questa dialettica fra estremi - all'apparenza inconciliabili - rivive nella sua musica, così imprevedibile, articolata e quasi "feroce" nei suoi contrasti.

Ecco, fatta la doverosa premessa, posso sciogliermi un attimo e dire la mia: non sono in grado di indicare il miglior lavoro di Mingus (sono indeciso per lo meno fra 3-4 dischi, tutti eccellenti sino all'inverosimile), ma posso indicare, forse, il suo lavoro più "rappresentativo".

Non "The Black Saint and the Sinner Lady", jazz-dance-folk-music latina che strizza l'occhio al free, suite che ha meritato fiumi di inchiostro e analisi approfondite, ma che rappresenta un unicum; non il lacerante esordio come band-leader di "Pithecanthropus Erectus", eccezionale visione del free-jazz composta in un bandismo ancora a suo modo "classico" e molto Ellingtoninano, con tanto di saluti a Gershwin; non le astrusità cervellotiche e "angolari" di "Presents Charles Mingus", pure per molti il suo capolavoro (chiedere per informazioni a un duetto con Eric Dolphy che lascia senza fiato).

E non perché questi lavori non siano straordinari: è che il Mingus "tipo", forse, lo si trova soltanto in questo "Mingus Ah Um". Se mai dovesse esisterne uno, di Mingus tipo, beninteso. "Mingu Ah Um" è di certo più grande omaggio di Charles alla storia del jazz. Alle fondamenta su cui ha saputo erigere un edificio che, nella musica del '900, sbaraglia la concorrenza.

E' anche il miglior prodotto del Mingus più "moderato", ancora capace di coniugare le diverse anime che si abbracciano nella sua musica con sapienza, persino con un certo equilibrio. Impressionismo ed espressionismo: esattamente come per il Duca, il suo più grande maestro ed ispiratore, queste solo le due forze che si amalgamano nella sua opera.

Omaggi e radici, dicevamo: e "Better Git It Into Your Soul" è il miglior omaggio alla tradizione gospel-soul che possiate trovare in un disco jazz. Bandismo di rara eleganza che si sposa a hand-clapping, chiaroscuri e saliscendi emotivi. Pare di essere catapultati per le strade di New Orleans, nel bel mezzo di un funerale. O anche di un matrimonio, fate voi: l'impressione è sempre quella di una grande festa adombrata dalle consuete malinconie del nostro.

"Goodbye Porkie Pie Hat" è il secondo gioiello: qui, si omaggia il leggendario sassofonista Lester Young. E pare proprio di ascoltare il suo "tenore": in quei fraseggi così puliti, morbidi, delicatissimi, pare davvero di ritrovare l'armonia sottile della sua musica.

Non che siano da meno gli altri giganteschi ritratti del disco: "Open Letter to Duke" è uno spettacolare virtuosismo da big band, che si insinua esuberante e poi si ammorbidisce pian piano. Impressionanti le assonanze con lo stile della jungla di Ellington, specie nelle inflessioni ricchissime del sax alto e nei fastosi cambi di tono.

"Bird Calls" è forse il pezzo più soprendente del disco: Parker rivive nell'articolato e tiratissimo duetto dei sax, che porta direttamente dalle parti di un "Dizzy Atmosphere", non solo per i tempi inestricabili e rapidissimi, ma anche per il particolare "calore" che sorregge il tema.

Doveroso è anche un cenno a "Fables of Faubus", tema fra i più classici e noti del repertorio di Mingus (una sorta di marcia che procede a singhiozzo e poi divampa in un crescendo di grande impatto), attacco diretto e poco sottile al governatore dell'Arkansas (Faubus), reo di aver adottato provvedimenti di stampo razzista nel 1957 (la celebre istanza contro l'integrazione nella scuola di Little Rock). Un tema, quello del razzismo, da sempre carissimo a Mingus, anche perché da sempre vissuto dal gigante dell'Arizona sulla propria pelle (un "bastardo" senza razza, per sua stessa definizione).

Da ultimo, un gustoso assaggio di storia del jazz: il saluto a Jelly Roll Morton, egocentrico pianista autoproclamatosi "inventore" del jazz, personaggio fuori dalle righe e fuori di testa esattamente come Charles, ripreso in un gustoso e ricco tema orchestrale.

Siamo giunti alla fine: ma è difficile crederlo davvero. Perché un lavoro del genere ti segna sempre: per me, ha rappresentato solo l'inizio di un'avventura (quella nel mondo del jazz) ancora molto lontana dal concludersi.

V Voti

Voto degli utenti: 9,5/10 in media su 27 voti.

C Commenti

Ci sono 17 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

fabfabfab (ha votato 10 questo disco) alle 10:40 del 29 dicembre 2010 ha scritto:

Ehhh vabbè Francè.

<<"Better Git It Into Your Soul" è il miglior omaggio alla tradizione gospel-soul che possiate trovare in un disco jazz.>> E' anche uno dei migliori omaggi alla musica jazz stessa. Chi non ha questo disco non ne merita nessun'altro. Bravo bravo bravo Francesco... Il 10 più ovvio che ci sia, se non è "patrimonio dell'umanità" questo ....

lev (ha votato 10 questo disco) alle 13:01 del 29 dicembre 2010 ha scritto:

appena l'ho visto ho pensato: "questo l'ha recensito il buon francesco". 10 e lode a te, e al disco ovviamente. questo è proprio patrimonio dell'umanità. ma allora "the black saint and the sinner lady" cos'è?

lev (ha votato 10 questo disco) alle 13:01 del 29 dicembre 2010 ha scritto:

oddio, il voto!

FrancescoB, autore, (ha votato 10 questo disco) alle 13:36 del 29 dicembre 2010 ha scritto:

Hai ragione Smac...sono entrambi paurosi: ma ho preferito recensire questo, giusto perchè di regola viene messo un attimo in secondo piano rispetto a "The Black Saint"!

NathanAdler77 (ha votato 10 questo disco) alle 18:58 del 3 gennaio 2011 ha scritto:

Complimenti a Francesco, gran bella rece...Mingus artista immenso.

dalvans (ha votato 9 questo disco) alle 15:42 del 23 settembre 2011 ha scritto:

Ottimo

Ottimo disco

Mirko Diamanti (ha votato 10 questo disco) alle 15:51 del 18 novembre 2011 ha scritto:

Il basso di questo geniale e rude musicista apre e chiude un fondamentale capolavoro del jazz. Meglio anche di "The Black..."

Utente non più registrato alle 14:18 del 16 febbraio 2012 ha scritto:

Uno dei capolavori del grande contrabbassista, debitore a sua volta della lezione di Duke Ellington, anche se io lo preferisco quando se ne allontana...

magma (ha votato 10 questo disco) alle 19:04 del 29 febbraio 2012 ha scritto:

Questo e altri 3-4 dischi di Mingus meritano, a prescindere dai gusti personali, il massimo dei voti, in quanto pilastri assoluti del Jazz e della musica tutta, in quanto vere e proprie opere d'arte, veri e propri monumenti. Mingus uno dei più grandi musicisti e soprattutto compositori di sempre, ripeto di sempre. Imprescindibile.

Utente non più registrato alle 1:30 del primo marzo 2012 ha scritto:

Eh si! Un GENIO. Se si pensa inoltre che Mingus ha attraversato almeno tre decenni suonando e componendo della musica assolutamente eccezionale.

Per rimanere stretti, inizierei con 1953 Jazz at Massey Hall, album live inciso durante la leggendaria esibizione del cosiddetto The Quintet (estemporaneo "supergruppo" composto da Dizzy Gillespie (tromba), Charlie Parker (sax), Bud Powell (pianoforte), Charles Mingus (contrabbasso) e Max Roach (batteria), i più grandi musicisti jazz del periodo) alla Massey Hall di Toronto.

1956 Pithecanthropous

1959 Mingus Ah Um

1960 Charles Mingus Presents Charles Mingus

1963 The Black Saint and the Sinner Lady

1963 Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus

1964 The Great Concert of Charles Mingus

1964 Mingus at Monterey (Live)

1974 Changes One

1974 Changes Two.

stefacolli (ha votato 10 questo disco) alle 23:56 del 25 gennaio 2014 ha scritto:

Ciao a tutti, Vi chiedo cortesemente di darmi una risposta sul brano Pussy Cat Dues, inciso nell'album Mingus Ah Um. Mi sembra che in questo brano ci sia un clarinettista, che effettua uno splendido intervento, ma sulle note di copertina non vi è traccia del nome del clarinettista.. Possibile che mi sia sbagliato e che invece sia un sax alto ? Grazie a chi può chiarirmi il dubbio-

Utente non più registrato alle 0:20 del 26 gennaio 2014 ha scritto:

Ciao, il clarinetto c'è ed è suonato da John Handy solitamente impegnato al sax contralto.

stefacolli (ha votato 10 questo disco) alle 10:12 del 26 gennaio 2014 ha scritto:

Grazie, cominciavo a temere di non distinguere più, il clarinetto dal sax contr'alto. Cordiali saluti e buona domenica, VDGG.

Utente non più registrato alle 10:42 del 26 gennaio 2014 ha scritto:

Grazie altrettanto.

stefacolli (ha votato 10 questo disco) alle 23:57 del 25 gennaio 2014 ha scritto:

Ciao a tutti, Vi chiedo cortesemente di darmi una risposta sul brano Pussy Cat Dues, inciso nell'album Mingus Ah Um. Mi sembra che in questo brano ci sia un clarinettista, che effettua uno splendido intervento, ma sulle note di copertina non vi è traccia del nome del clarinettista.. Possibile che mi sia sbagliato e che invece sia un sax alto ? Grazie a chi può chiarirmi il dubbio-

Utente non più registrat (ha votato 8,5 questo disco) alle 15:21 del 7 giugno 2020 ha scritto:

Meno innovativo di "Pithecanthropus", meno dirompente, ma più compassato, più curato, più enciclopedico. Sempre molto romantico, seppur più "didascalicamente". Inoltre, è uno di quei casi - non proprio frequentissimi - dove la (enorme) fama di un disco risulta pienamente giustificata dal valore artistico dello stesso.

theRaven (ha votato 10 questo disco) alle 16:02 del 8 giugno 2020 ha scritto:

Better git it in your soul, Goodbye pork pie hat, Boogie stop shuffle e Fables of Faubus valgono un capitale.