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10/10

Charlie Parker

Yardbird Suite

Navigando per il web capita spesso di imbattersi in recensioni, monografie e scritti vari dedicati al jazz.

Autori? Di tutto di più, dal critico o pseudo-critico di un certo spessore sino all’ultimo dei bloggers.

Un dato, però, pretende da tempo la mia attenzione, ed anzi sarebbe meglio dire la mia bile, che scorre a fiumi: quasi nessuno dedica una riga a Bird (come è universalmente noto Charlie Parker).

Trattasi di palese affronto, di bestemmia di proporzioni ciclopiche: ed allora, nel mio piccolo, provo a raccontare qualcosa sul personaggio e sulla sua raccolta migliore, questa meravigliosa e ricchissima “Yardbird Suite”, pubblicata nel 1997 e caldamente consigliata a chiunque voglia addentrarsi nei meandri della sua arte.

La lacuna è così vistosa e grave perché Bird è realmente un artista imprescindibile per il jazz, da qualunque parte lo si voglia osservare.

Il sassofonista di Kansas City è infatti, con ogni probabilità, l’uomo che più di ogni altro ha modificato i connotati della musica afro-americana nei primi anni ‘40, alterandone profondamente tanto il dato strettamente formale quanto la dimensione più espressiva e comunicativa, riscrivendone di fatto tutte le regole di base.

Bird sentiva il blues più di chiunque altro: così si vociferava nei primi anni ’40 fra i pazzi della Cinquantaduesima Strada della Grande Mela, tempo e luogo ove prende forma le grande rivolta del bebop, ovvero del nuovo jazz.

Già, il jazz: quando irrompe Bird, da troppo tempo pare relegato a musica da ballo senza pretese, per quanto elegantemente rifinita e divinamente eseguita. Da troppi anni, oramai, è diventato un genere bianco, apprezzato ed ascoltato dal pubblico bianco come semplice veicolo di svago.

Ed allora un manipolo di pazzi dall’aria intellettuale e “maledetta”, arroganti e bohème, eversori e cattivi al punto giusto (tanto da diventare modelli di riferimento per la rivolta degli annio '60, e non solo sul versante jazz e musicale), decide di introdurre qualcosa di nuovo, di più complesso e stimolante; decide di riportare la musica nera al suo ruolo naturale, in una società come quella americana, di musica di rottura; e così ne approfondisce in molteplici direzioni le possibilità ritmiche, armoniche e melodiche, obbedendo ad una sola regola: stupire il pubblico, stupire gli ascoltatori, non dare loro mai ciò che chiedono e desiderano di più, ovvero del semplice swing che smuova le chiappe.

Parker fu forse il più grande, all’interno di questa cerchia di folli. Di certo, è il mio preferito.

Bird era un musicista selvaggio ed imprevedibile, cresciuto ascoltando e vivendo il blues fra i vicoli polverosi e criminali di Kansas City, sulle strade del Missouri e fra i bordelli della Grande Mela. Amava il blues, l’aveva assorbito ed anzi divorato, e l’aveva poi trasformato in qualcosa difficilmente catalogabile: essenzialmente, in qualcosa di nuovo e libero.

La sua libertà, quasi primitiva, non andava tuttavia a discapito di una fantasia musicale sempre fertile: non si contano le invenzioni melodiche memorabili, costruite molto spesso su 3-4 accordi poi articolati in modi imprevedibili e stimolanti (ascoltare su questa raccolta “All the things you are”, “Cool Blues”, “Night in Tunisia”, “Dizzy Atmpsphere”, brani tanto eclettici quanto di grande impatto, quasi cantabili!), le armonie massacrate e reinventate da zero con mille piccole variazioni ed accenti nuovi, certi passaggi ritmici rapidissimi che lasciavano a bocca aperta i critici anche più preparati (la sua tecnica al sax alto, affinata nel corso degli anni, diventava col tempo sempre più personale ed inimitabile).

Ma Parker era più di questo, molto di più: la sua voce strumentale così flebile e leggera, quasi gracile, è fra le cose più “tenere” che il jazz abbia regalato. La sua musica possiede una carica quasi violenta, perché figlia della tossicodipendenza e di una vita di eccessi (Parker rappresentò la quintessenza del genio maledetto del jazz, dedito purtroppo a passatempi come l’eroina), così come delle esperienze più crude ed atroci, maturate tanto nei bassifondi della società quanto nella New York “bene” (e culminate con la morte della figlia).

La sua musica rappresenta una forma di ribellione verso le bassezze che hanno tentato di insabbiarne il talento, spesso in nome di una discriminazione razziale e sociale sempre viva e feroce; la sua musica è il tentativo di elevarsi e di dimenticare, di raggiungere una spiritualità pura e finalmente redenta (qualcuno prenderà nota: vero John Coltrane?).

C’è un altro dato che mi preme evidenziare: Parker era sì musicista tecnicamente eccelso, le sue composizioni sono sì estremamente elaborate, ma nelle sue vene, in fondo, scorreva la stessa linfa che animava i primi bluesmen.

Parker è il Robert Johnson del jazz, questa raccolta sta alla musica jazz come i “Comple Recordings” di Johnson stanno al blues. Parker e Johnson sono figli delle stesse contraddizioni sociali e degli stessi drammi personali cui li ha costretti il colore della pelle, figli di una povertà che spesso li ha privati anche dello stretto necessario.

E questo condensano nella propria arte, pur con tutte le enormi differenze del caso.

La dicotomia fra la natura istintiva della voce di Bird e la complessità delle sue frasi, in realtà, è solo apparente, o meglio dipende dal nostro punto di vista europeo ed occidentale. Nel blues, la poliritmia (che spesso affiora nei suoi pezzi) è concetto naturale, la capacità di variare e spezzare le frasi a seconda dell’istinto del momento (la musica diventa pura espressione, senza limiti prestabiliti, quasi in condivisione con l'ascoltatore), scardinando la regolarità tanto cara a noi occidentali, è a sua volta immancabile. La musica di Bird è fresca e leggera, ma soprattutto ha un impatto diretto, quasi fisico, stupefacente: quante volte si rimane sbalorditi da salti di ottave sino ad allora mai concepiti, capaci di far inorridire tanto i vecchi jazzmen quanto i musicisti classici; oppure dalle fratture ritmiche (nel bop la concezione è essenzialmente poliritmica e libera, molto meno regolare di quanto non accadesse nello swing), così come dall’uso costante delle dissonanze nelle armonie, marchio di fabbrica di tutto il movimento.

Tanto nei momenti più rilassati ed a suo modo romantici (“April in Paris”, “Laura”, “All the things you are”; Parker però non trascende mai nello zuccheroso, il suo è una sorta di romanticismo distaccato, quasi un ritratto del suo sentimento) quanto nei momenti in cui la sensazione della morte diventa opprimente ed insopportabile, dando vita a capolavori deformi del jazz oscuro, la musica del Delta è in ogni caso sempre viva e presente, è il punto di riferimento.

E questa raccolta ne è un fulgido esempio. Insomma, “Yardbird Suite” difficilmente può lasciar indifferente chi ama il jazz: perché ne racchiude gli umori e la forza, perché contiene almeno una ventina di pezzi capaci di sorprendere anche al centesimo ascolto, e perché non ha passaggi a vuoto. Allora è vero, "Bird Lives".

 

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gramsci 10/10

C Commenti

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ozzy(d) alle 11:07 del primo ottobre 2010 ha scritto:

Bello, bello julian, mandane a bomba e redimi chi come me ha ascoltato al massimo tre dischi jazz ghghgh

Totalblamblam (ha votato 9 questo disco) alle 11:51 del primo ottobre 2010 ha scritto:

RE:

ahah per te c'è sempre l'asso di spada dei motorhead pronto...bella scheda! c'è da dire che si il bop nasce con quell'intento di rottura profonda con il jazz sbiancato e svenduto ma se non ci fosse stata la tassa sui beni di consumo non sarebbe nato ... di bird sono fondamentali the savoy recordings e i dial masters

ozzy(d) alle 13:19 del primo ottobre 2010 ha scritto:

per punizione ti verrà presto un porro sul naso come quelli di lemmy ghghgh

Totalblamblam (ha votato 9 questo disco) alle 13:29 del primo ottobre 2010 ha scritto:

RE:

LOL mi sto già toccando i santissimi...a te i capelli sfibrati alla ronnie james schifo l'unico tra i mortali a vedere gli arcobaleni nell'oscurità

fabfabfab alle 18:07 del primo ottobre 2010 ha scritto:

RE: RE:

Eh stoke, talmente mortale che è morto da poco ...

FrancescoB, autore, alle 20:13 del primo ottobre 2010 ha scritto:

Grazie ragazzi, nel mio piccolo provo a consigliare qualcosa! Ah, hai ragione Stoke, bop rottura rispetto a quel periodo, ma anche suo figlio naturale.