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R Recensione

6/10

Iggy Pop

Préliminaires

Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”.  

Onestamente, dubito che Iggy abbia mai letto la “Canzona di Bacco”. Culture troppo distanti fra di loro, geograficamente e cronologicamente parlando. Eppure, leggendo fra le righe, sembra incredibile come l’insegnamento di Lorenzo de’ Medici sia penetrato fra le intricatissime trame della sua vita. Una giovinezza spericolata, la gloria degli Stooges, l’adrenalina dei concerti, un tracollo psichico e fisico di quelli da mettere in ginocchio chiunque: non lui. Che nasce, subisce e risorge sotto l’egida del rock’n’roll. È stato fortunato, non c’è alcun dubbio, molto più di tanti suoi colleghi di sfrontatezza ed eccesso. Di doman non c’è certezza, proprio vero: il povero Ron Asheton, lo scorso gennaio, lo ha potuto testare di persona. La fine ufficiale di una storia, in realtà, interrottasi per ricezione disturbata – un Metallic K.O., lo definirei – quasi quarant’anni fa.  

Già, probabilmente ad Iggy i sonetti del principe fiorentino non interessavano proprio. Vi immaginate, il punk rocker più inossidabile del pianeta Terra (e, data la resistenza, mi sa anche qualcosa oltre) che si immerge nell’erudizione della letteratura rinascimentale?

Molto meglio, anche se vista da un’altra prospettiva, quella contemporanea. A questo punto, le cose cominciano a farsi interessanti. Il punto di svolta si chiama “La possibilità di un’isola”, romanzo scritto da Michel Houellebecq: il Nostro lo prende sotto mano, se lo legge e ne rimane colpito a tal punto da decidere, ex nihilo, di realizzarne una impossibile colonna sonora. Senza chitarre – cioè, specifichiamo: senza chitarre rock –, senza ritmiche forsennate, senza provocazioni di fondo. O forse sì, anche il progetto si basa su una sfida: quello di riuscire a rimanere sé stesso, rinunciando a sé stesso. In soldoni: far trasparire l’anima del vero James Osterberg sotto una patina jazz.  

Metà de tàuta – giusto perché l’ambiente si fa raffinato e bisogna dimostrare un certo aplomb culturale – “Préliminaires” è un disco all’apparenza tanto fascinoso, quanto in realtà pericoloso ed ambiguo. Una considerazione, prima di tutto: i tempi cambiano, le persone invecchiano. C’è poco da fare. Iggy ha ancora i capelli lunghi, gli occhi di ghiaccio, gli addominali e il physique du rôle dei tempi migliori, ma l’anagrafe recita 21 aprile 1947, e questo è un dato che, ahimè, nessun allenamento potrà mai cancellare. La diretta conseguenza di questo è che, ora, c’è un uomo che chiede, al contrario di quanto avveniva nella prima parte della sua carriera, dove l’irriverenza ed il mancato rispetto erano password giornaliere. Iggy chiede a Marjane Satrapi, autrice del fortunatissimo “Persepolis”, di disegnare la copertina dell’album: chiede allo stesso Houellebecq il permesso di musicare il suo testo; sembra chiedere al proprio pubblico, infine, comprensione per la svolta artistica che ha deciso di prendere in considerazione. La musica si accoda al proprio creatore: un disco breve, urgente, incantevole, ma allo stesso tempo compromissorio, strambo, sottotono.  

Ecco, nonostante milioni di giri di parole siamo riusciti ad esprimere il concetto base: questo lavoro riesce, a volte, noioso. Si dice che con l’arrivo della senescenza si acquisti in saggezza e rettitudine, ma forse qui si esagera. Questo voler suonare a tutti i costi ripulito, signorile e raffinato cela quella che, più di una volta, sembra solamente essere una spassionata conoscenza dei propri polli ed una scaltra furbizia manageriale. Ognuno, poi, com’è ovvio che sia, arriverà a pensare ciò che vuole, ma io credo che, invece di una meditata svolta intellettuale, “Préliminaires” rappresenti un pit stop importante, che mette di fronte il fu Iggy con l’Iggy che, invece, è. Non senza qualche importante caduta di stile, e sempre con il sentore della beffa che aleggia sotto il naso. Lo si capisce dal fatto, ad esempio, dell’improbabile accostamento di pezzi come “King Of The Dogs”, parata di fiati che trasuda New Orleans da tutti i pori, assieme al breve divertissement elettronico di “Party Time”, che non può non far storcere il naso.  

Chiaramente, ad uno come lui si finisce per perdonare un po’ tutto, ed i pezzi proposti riescono a tenere desta l’attenzione, almeno per un po’: bene quando si improvvisa Frank Sinatra dell’era Duemila in “I Want To Go To The Beach”, spoglia e tenebrosa, ancora meglio nel blues cajun di “Je Sais Que Te Sais” – riproposta, verso la fine, anche in versione inglese col titolo di “She’s A Business” -, con un vero e proprio picco d’eccellenza nello splendido country per voce e chitarra di “He’s Dead / She’s Alive”. Ma, s’intende, la candela brucia troppo in fretta, e si rischia di brancolare nel buio perché, diciamola pure tutta, il disco è anche un po’ povero di contenuti: e se vi intristirà sentire Iggy alle prese con gli squisiti francesismi del classico “Les Feuilles Mortes”, swing cantautorale quivi in due versioni poste a capo e in chiusura, non vi rimarrà altro che baloccarvi con gli archi di “Spanish Coast” e con uno spoken word senza infamia e senza lode (“A Machine For Loving”). Alla fin fine, quando ci si rituffa nel passato i risultati reggono ancora alla grande. Insomma, vi dovrebbe far pensare, e molto, che la cosa più diretta e sincera appaia proprio la pecora nera, quasi uno sfregio in mezzo alla compostezza del materiale rimanente, quel garage rumoroso ed inconfondibile che è ormai, da decenni, marchio di fabbrica di Osterberg (“Nice To Be Dead”: giusto per ricollegarci all’inizio, eh?).  

Non pretendiamo più da Iggy sangue e sudore, come all’inizio. Nemmeno vogliamo costringerlo a cambiare bruscamente direzione. E, giusto per aggiungere carne al fuoco, non distoglieremo la sua attenzione dal progetto intrapreso – o forse no? – con “Préliminaires”. Semplicemente, onde evitare che ognuno vada per la propria strada senza nemmeno un saluto sentito, esigiamo un po’ più di onestà intellettuale. Per questa volta passa: non so, con onestà, se la prossima – qualora ci fosse – sarò così indulgente.

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target 6/10
REBBY 6/10

C Commenti

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target (ha votato 6 questo disco) alle 11:31 del 29 giugno 2009 ha scritto:

Dire che il disco è eterogeneo, in effetti, è dire poco. Ed è fascinoso, come dici, al primo impatto: vero. L'incrocio tra country blues e la fumosità dei chansonniers francesi crea i suoi momenti (d'accordo su tutti quelli che citi tu come migliori). Poi, ad altri ascolti, il fascino si scioglie. Molto conterà per questa debolezza, immagino, la natura di 'colonna sonora' e il tentativo di plasmarsi sull'opera di Houellebecq (il libro o il film? Houellebecq stesso ha diretto il film tratto dal suo libro). Si sente che manca un'anima 'interna' al disco. Certo, Iggy Pop che incontra Houllebecq poteva dare vita o qualcosa di meglio, detto che la "Possibilité d'une ile" è, secondo me (ma non solo), il libro meno riuscito di H., troppo raeliano e lungo, e quindi noioso. Bella marco (e grazie del cd....

simone coacci (ha votato 6 questo disco) alle 11:36 del 29 giugno 2009 ha scritto:

Carino, senile, meglio della sbobba Iggyana/ Stoogesiana del nuovo millennio, poco ma sicuro. Certo che riproporre due volte Les Feuilles Mortes e She's A Business in due versioni praticamente identiche la dice lunga sulla residua fantasia dell'iguana/camaleonte. La cosa migliore, comunque, è la copertina di Marjane Satrapi. La regista/fummettista/graphic novelist di "Persepolis".

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 11:38 del 29 giugno 2009 ha scritto:

Il primo impatto è di un Iggy finto. Ma Iggy è un

vero finto, con i suoi capelli lunghi e colorati e

con i suoi finti veri muscoli,che sembran stridere

con la sua età più del repertorio qui proposto. Se

lo si giudica senza tener conto di chi è, secondo

me, qualche buon pezzo lo "indovina", sempre che piaccia il genere. Non è più tra i number one da

tempo e ci si contenta (e chi si contenta gode).

Grande Marco.

DonJunio (ha votato 4 questo disco) alle 12:14 del 29 giugno 2009 ha scritto:

Classico disco che Iggy fa ogni tanto, quando si rompe del rumore e degli amplificatori ( alla "Avenue B"). Qui siamo veramente allo stadio terminale però, il sax nella cover di "les feuilles mortes" è roba da balera di periferia.

NathanAdler77 (ha votato 6 questo disco) alle 21:47 del 4 luglio 2009 ha scritto:

Preliminari Superflui

Quella bestia d'Iggy è stufo dell'ampli, ora vuol fare il crooner intellettuale: tra Fausto Papetti

e Tommaso Waits.

Gabs alle 10:15 del 13 agosto 2009 ha scritto:

beh!

Per potersi avvicinare senza smorfie facciali a questo disco (o peggio ancora), è necessaria una cosa: bisogna dimenticarsi di cosa è stato The Ig.

Solo così è possibile, a mio parere, l'accesso a questo ciddì dalla veste colta, che in fondo non mi dispiace ascoltare.

Certo è che Iggy non è mai stato un intellettuale, così come la sua voce ormai non graffia più stridente sul metallo.

Però, da vecchio fan appassionato (non potrei essere altrimenti) alla fine lo salvo questo lavoro, pur se non rispondente alla sua (antica) personalità.

Allora, se mi dimentico di Iggy, mi piace il Blues di -He's Dead/She's Alive- che ricorda John Lee Hooker, così come mi piace la voce -dell'Iggy che non fa più l'Iggy- pastosa e profonda a tratti...

Auspico pertanto per questo vecchio leone la vecchiaia su una matrice tipicamente blues, semmai dovesse decidere di continuare con la musica, dove a mio parere può dire ancora qualcosa se ben supportato dai musicisti giusti.

In fondo è un animale da salvare, non vi pare? Lasciamo stare il ritmo e il metallo, il furore e la violenza di tanti anni fa: appartengono ai cetrioli, come avrebbe detto il buon William Burroughs... Spero piuttosto che non venga messo in atto lo scempio annunciato di una reunion con James Williamson, come triste clone di quella precedente con il povero Ronnie sarebbe per me insopportabile.

Grazie per l'attenzione.