R Recensione

7,5/10

Kirk Knuffke

Little Cross

D’accordo, il tema non sarà dei più invitanti – una serie di composizioni rivolte ad indagare il senso spirituale della morte – ma il risultato merita attenzione da parte di chi guarda al jazz ed alla musica senza pregiudizi, perchè “Little Cross” vede all’opera insieme, uniti dall’impegnativo intento, tre delle personalità di maggior spicco della scena musicale contemporanea 

Kirk Knuffke è un cornettista cresciuto alla corte di Butch Morris, votato rising star nel 2015 dal pool di critici della rivista DownBeat, e forte di una miriade di collaborazioni, da Roswell Rudd a William Parker, Uri Caine, John Zorn e Dave Douglas, Hamid Drake (uno dei batteristi più originali e creativi del panorama free jazz mondiale, già con Don Cherry e Pharoah Sanders) e Jamie Saft (tastierista dietro a mille sigle, tra New Zion, Slobber Pup e il progetto del 2015 condiviso con Steve Swallow e Bobby Previte, “The New Standard”). Proprio con questo lavoro “Little Cross” ha alcuni punti in comune. Il blues innanzitutto, che permea molte delle composizioni, con la solennità e l’intensità dell’inno, e quindi l’economia dei mezzi espressivi, là un classico piano trio, qui tromba, organo Hammond B3 e batteria, che congiura per un risultato di grande presa emotiva e, a dispetto del proposito, ricco di varietà e temi diversi. Si parte, infatti, con l’ellittico tema di “Oh, A Lovely Appearance Of Death”, unico traditional in programma vestito di forme e suoni contemporanei, nel quale emergono le ampie volute dell’organo, la conduzione di Knuffke e le rigorose scansioni ritmiche di Drake, protagonista con un agile gioco di piatti e tamburi anche nella seguente, sorniona, “City Called Heaven”. “Chine Town Suite” è costruita come una piccola suite: in dodici minuti la funeral march introduttiva presto evolve in una sezione più astratta ed eterea, per poi trasformarsi in una sorta di inno gioioso sul cui tema i tre lanciano le proprie improvvisazioni. Il tema solenne di “Elephant Boat”, scritta dal batterista Kenny Wollesen, evoca grandi spazi e cieli azzurro intenso di qualche panorama americano. Se alcuni episodi, senza sconfinare nel free jazz, hanno struttura astratta ed affidano al dialogo libero fra i tre strumenti la creazione del clima sonoro (“Little Cross”, “Poem”), il trio non lesina energie anche cinetiche quando si tratta di dare fuoco alle polveri di un dinamico bop, come “Farmer Alfalfa”, scritta da Henry Grimes, o di interpretare un “Blues For Fred” la cui superficie ribolle delle calde note dell’hammond e dei fraseggi ficcanti della tromba.

Il finale riserva la parte più intima del lavoro: “July Hymn” è una toccante miniatura dedicata a Don Cherry dal batterista Matt Wilson, nel cui largo ensemble spesso compare Knuffke, e “Donald’s Wake” una riflessione intima e raccolta in cui la flebile voce degli strumenti si assottiglia fino a diventare sussurro e poi, gradualmente, silenzio. Intenso e profondo Knuffke, dilagante ed intriso di blues il fraseggio di Saft, ed indispensabile l’impeccabile drumming di Drake, che riesce ad interpretare in senso funzionale alla proposta l’ampia tavolozza creativa di cui è in possesso. Un trio che si vorrebbe sempre a disposizione, per i momenti tristi e quelli allegri.

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