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R Recensione

7,5/10

Led Bib

Umbrella weather

Nel gioco delle similitudini ci sono cascati un po’ tutti, sia in Italia che oltre manica, nel tentativo di fornire ai lettori una descrizione dei Led Bib e del loro “tempo da pioggia”. In bella sequenza sono sfilati  John Zorn, Ornette Coleman, Peter Brotzman , Eric Dolphy, Frank Zappa e gli Slayer, e parimenti si sono sprecate le definizioni per questa “new thing” proveniente da Londra: “punk jazz”, un “jazz che fa esplodere le casse dello stereo” o addirittura , come si sbilancia The Wire, più portato a metafore gastrotecniche, “il suono di una motosega calda che attraversa il burro”. Mettete tutto insieme, aggiungete una buona dose d’esperienza di ciascuno dei cinque musicisti come produttori in ambito rock pop e world, insieme ad una decisa tendenza alla creazione di panorami sonori densi e ribollenti di ritmo, e potrete iniziare a farvi una vaga idea del settimo album dei Led Bib, primo pubblicato da RareNoise dopo alcuni anni trascorsi presso la corte Cuneiform. 

Scelta quanto mai azzeccata, verrebbe da dire, considerando il manifesto programmatico per una musica senza confini dell’etichetta londinese. Attraverso le quindici tracce del lavoro, il quintetto alterna umori free jazz a dinamiche (post) rock, impegna i due alto sax di Chris Williams e Peter Grogan in intricate tessiture contrappuntistiche, si nutre del propellente drumming di Mark Holub e del basso fuzz e slabbrato di Liran Donin, riservando un ruolo sempre centrale alle tastiere elettriche di Toby McLaren, talvolta colorate di effetti elettronici. Che non ci siano mezze misure in “Umbrella weather”, lo si intuisce subito dalle iniziali battute di “Lobster terror” introdotte da un tema binario dei sax che si sviluppa, su una frenetica spinta ritmica, in un solo che davvero evoca Ornette, accompagnato da noises e folate elettriche: quindi una progressione post rock interrotta da un inatteso break finale. La stessa temperie si ritrova negli episodi più concitatamente free, (“Insect invasion”, “At the shopping centre”, il titolo condivisile di “Too many cooks”), ma anche quando le acque appaiono meno agitate e si fa più percepibile l’impostazione strutturale delle composizioni (nell’incalzante “Ceasefire”, nella raccolta “Field of forgetfulness”, in “Women’s power”, con un basso avvolgente e funk ed i saxes dialoganti fra loro e con il rhodes ), sulla superficie soffia un vento teso, ed emerge una voglia quasi rabbiosa di sfuggire alle attese ed inforcare territori imprevisti. Fra molte composizioni di durata media spiccano i dieci intensi minuti di “On the roundabout”, una piccola suite ricca di cambi d’umore e di tempo, dal robusto groove della sezione iniziale, costruita su un possente bordone ritmico, alla parte onirica e liquida, ricca di rifrazioni elettriche, che occupa la parte centrale, prima di un ribollente finale free. Musica per cuori e menti in cerca d’avventura, che rifuggono le chimere del compiacimento. Il consiglio è di affrontarla senza ombrello, e godere del diluvio (musicale) che vi investirà senza tregua.

 

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Utente non più registrato alle 10:44 del 3 febbraio 2017 ha scritto:

Verrebbe da dire meno male che Andrea c'è...

Marco_Biasio alle 13:46 del 3 febbraio 2017 ha scritto:

Disco molto ricco, ma a tratti troppo lungo e un po' dispersivo, anche se l'energia e la qualità delle idee è quella giusta (mi ricordano i migliori Ex). Prima di votarlo aspetto di ascoltarlo ancora un po'.

Paolo Nuzzi alle 15:49 del 3 febbraio 2017 ha scritto:

Anche a me ricordano gli Ex, ma devo approfondire. Nel frattempo un complimento enorme ad Andrea che fa sempre un lavoro pregevole.

gbruzzo alle 18:42 del 3 febbraio 2017 ha scritto:

Grazie per la rece

redbar, autore, alle 19:00 del 3 febbraio 2017 ha scritto:

Grazie, suscitare interesse e discussione e'una delle soddisfazioni più belle.Su Sdm succede spesso.

FrancescoB alle 9:57 del 5 febbraio 2017 ha scritto:

Album interessante e non semplice da catalogare e recensire (bravissimo Andrea in tal senso). Condivido l'accostamento a John Zorn, al Frank Zappa più jazz oriented, al free maturo (aggiungerei forse qualcosa dell'Art Ensemble of Chicago, anche per gli echi world). Sulla carta è facilissimo interagire con questa musica per i non "iniziati", eppure io trovo l'album comunque accessibile e godibile.

FrancescoB alle 13:53 del 5 febbraio 2017 ha scritto:

* NON è facilissimo interagire, intendevo

gbruzzo alle 14:45 del 6 febbraio 2017 ha scritto:

Dal vivo sono bestiali