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R Recensione

7,5/10

Marcus Miller

Renaissance

E' difficile confondere lo stile al basso/contrabbasso di Marcus Miller con quello di qualcun'altro: perchè lui lo strumento pare quasi violentarlo, per punirlo di chissà quale peccato mortale; perchè sembra quasi schiaffeggiarlo e strattonarlo con prepotenza, quasi a forzare i suoi limiti sino alle porte dell'ignoto.

Torniamo all'ordine: Marcus Miller è un musicista che, per gli appassionati del genere, non ha bisogno di esibire un curriculum per ben figurare. Agli altri basti sapere che Miles Davis gli ha dedicato qualcosa più di due righe di entusiasmo nella sua autobiografia, perchè l'allora giovanissimo collaboratore era riuscito ad inzuppare di groove anche le sue austere e minacciose composizioni, lasciando a bocca aperta un po' tutti, persino il capobanda arrogante e vanitoso per eccellenza.

Qual'è il segreto di questo portento? Il Groove.

Groove come se piovesse, le corde brutalizzate e slabbrate, un suono poderoso e quasi percussivo, vibrazioni fisiche che portano allo stordimento.

In altre parole, il genio di Jaco Pastorius e la sua tecnica slap immersi nel futuro, Sly Stone e famiglia al massimo dello splendore (signore e signori, il funk è vivo e vegeto), Stanley Clarke che presta il suo virtuosismo a pezzi che per prima cosa ricercano lo scontro fisico con l'ascoltatore.

Aggiungiamoci un clarinetto ed ecco che si materializza il miracolo di un compositore e polistrumentista a tutto tondo che ci regala un po' di adrenalina anche in questo moscio 2012 (almeno, moscio per chi è schiavo del ritmo).

La bellezza di "Renaissance" ha molti padri, in ogni caso: Marcus si è circondato di musicisti tagliati e ha creato un piccolo ensemble che non teme confronti.

Non ha scelto di battere percorsi nuovi, se è questo che cercate (ci sono anche quattro rivisitazioni di brani altrui), ma si può perdonarlo senza rimorsi perchè la sua musica è ancora fresca e leggerissima, sprizza vitalità in multicolor anche quando incupisce lievemente lo sguardo davanti alle meditazioni della notte (l'interludio avvolgente di "Nocturnal Mist"), idealizza suite e scambi in velocità che calzano l'hard-bop come fosse un guanto.

Come a dire, il jazz nella sua versione più pura, ma anche la capacità di scuotere e di percuotere a furia di funk e rock.

Un mezzo miracolo che ha tanti padri e tanti cervelli, dicevamo.

Ecco, tanto per iniziare, il sax alto di Alex Han è coprotagonista e voce di molti brani: "February" in tal senso brilla come uno smeraldo, perchè il sassofono decolla e si controce, ti accarezza suadente e poi apre varchi nel cielo con furore. E anche "Revelation", dove si volteggia quasi improvvisassimo con un Pharoah Sanders giusto un po' meno nervoso del solito, è via impervia che porta allo stupore puro.

"Setembro (Brazilianwedding song)" è un saggio di bravura che incastra figure ritmiche da labirintite nel sogno dorato di Gretchen Parlato, prima voce assecondata da un Ruben Vadles in stato di grazia.

Un matrimonio sulla spiaggia di Copacabana, sul serio, mentre la tromba di Maurice Brown fa di tutto per evocare il genio che porta lo stesso cognome.

"Jekell & Hyde" apre crepacci di funk-rock pulito, Miller è tanto contorto e brutale che pare in estasi, e pure piano e chitarra si prestano al gioco: questi sono gli anni '70 della blackxploitation sbattuti in faccia quasi con arroganza, in un tripudio di fiati e di timbriche.

Il finale lascia di stucco, perchè Marcus pensa bene di abbracciare una sorta di bizzarro hip-hop-soul-funk ("Tightrope", Janelle) e poi strizza l'occhio ai Jackson 5 di "Il'be There", controrcendo la melodia che ha reso celebre la hit in un vortice spigoloso e ancheggiante (e anche il solo di "Mr Clean", in tal senso, fa sgranare gli occhi prima di prenderti a sberle con foga spiritata).

Il segreto sta sempre nel groove, allora, in quelle figurazioni sincopate e nel loro fuoco vivo: attenzione, dunque, perchè dopo un paio di ascolti vi sembrerà che anche il computer stia muovendo il culo come un danzatore provetto.

Ma non illutedevi, non siamo ad Harlem e questi non sono gli anni '70: è pur sempre il 2012, è giusto diventato un filo meno moscio.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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