Paolo Recchia
Three for Getz
Per un giovane sassofonista giunto alla terza incisione a nome proprio, misurarsi con un gigante del jazz come Stan Getz è una impresa ad alto rischio. Occorre dimostrare di andare oltre il ripasso calligrafico di un repertorio che fa parte della storia del genere, mantenendo un impronta personale e giustificare la scelta interpretativa quale tappa di un percorso musicale appena avviato. Bisogna dire che Paolo Recchia in Three for Getz evita tutte le possibili trappole insite in operazioni di rilettura del songbook di maestri del jazz, e convince lascoltatore della validità di una scelta che sembra dettata , in primo luogo, da un grande amore per la musica del sassofonista statunitense.
La formula scelta è essenziale, un trio acustico con sax, chitarra e contrabbasso, affidati ad Enrico Bracco e Nicola Borrelli, che punta tutto sulla rotondità del suono, sul fluido fraseggio degli strumenti e sul timbro morbido del sax, ammaliante ed impeccabile nel disegno delle melodie .
La scelta del repertorio spazia lungo i quasi cinquanta anni di carriera di Getz, partendo da Indian Summer dal disco "Quartets " del 1949 incisa a soli 22 anni alla bossa jazz, una delle grandi invenzioni di Getz, di Carpetbackers Theme con un bel solo di basso di Borrelli, da Three Little Words tratta dalle session con il trio di Oscar Peterson, fino a O Grande Amor dal capolavoro Getz/Gilberto.
In un clima generalmente rilassato e rivolto ad evidenziare le componenti colloquiali fra gli strumenti, non mancano episodi più movimentati e swinganti, come Hershey Bar, con il tema presentato da sax e chitarra allunisono, e Voyage, vetrina anche per i soli di chitarra e contrabbasso. Menzione speciale per la conclusiva The Peacocks scritta da Jimmy Rowles ed interpretata in un album di duetti con Stan Getz del 1975: qui il trio cesella la indimenticabile melodia delloriginale costruendo un piccolo capolavoro di poesia malinconica e dolente.
Il suggello alla riuscita di Three for Getz viene dalle note di copertina del cd, firmate da uno dei più prestigiosi musicisti della storia del jazz italiano, il trombonista Dino Piana, che racconta: «Mentre ascoltavo mi sembrava di sentire Lee Konitz, Bud Shank ed altri musicisti con cui io ho avuto anche la fortuna di suonare. Allo stesso tempo però ho ascoltato emergere la personalità di Paolo proprio nella particolare sensibilità di fraseggio che in un ragazzo giovane, abituato ad altri tipi di linguaggio, non è facile da trovare».
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