V Video

R Recensione

10/10

Stan Getz - Joào Gilberto

Getz/Gilberto

Nei primi anni ’60 Stan Getz è già uno dei più quotati tenorsassofonisti della corrente cool jazz da almeno un decennio, le sue prime manovre di avvicinamento alla musica brasiliana risalgono al 1962 quando, insieme al chitarrista Charlie Byrd, dà alle stampe Jazz Samba, album best-seller che darà origine alla fascinazione dell’emisfero nord per il sound e beat carioca.

Il lavoro è seguito a breve distanza da altre "sperimentazioni" a tema, l’album con arrangiamento per big band e una collaborazione con Luiz Bonfà in ogni caso non riusciranno ad eguagliarne i fasti stilistici pur mantenendo un eccellente standard qualitativo. Per il nuovo lavoro Getz punta dritto alla variante stilistica del samba, una modificazione melodico/ritmica priva di slanci danzerecci, dall’incipt minimale, soffuso, di respiro elitario, quella che il produttore Creed Taylor battezzerà "la raffinata persuasione del jazz-samba", la bossa nova; capiscuola della nuova corrente sono il poeta Vinicius de Moraes, il compositore Antonio Carlos Jobim, la chitarra e la voce di Joào Gilberto.

Le sedute di registrazione per Getz/Gilberto hanno luogo presso gli A&R Studios di New York il 18 e 19 marzo ’63, Getz al sax, Joào Gilberto voce e chitarra e Antonio Carlos Jobim (autore di quasi tutti i brani in scaletta) al piano, per il basso la scelta cade su Tommy Williams, mentre la lettura metrica del battito è affidata al batterista Milton Banana, volato da Rio a New York su espressa direttiva di Jobim.

Difficile immaginare che impressione possa aver suscitato ad un primo ascolto una voce femminile piatta e incolore come quella di Astrud Gilberto (moglie di Joào) nei primi anni ’60, sì perchè in ambito jazz era consentito presentarsi davanti un microfono solo ai talenti puri, basta pensare alle figure femminili dominanti di quei giorni: Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Anita O’Day, stesso discorso per il pop, il soul (Dionne Warwick, Aretha Franklin), Astrud Gilberto può essere considerata, ad ogni buon conto, una sorta di prototipo delle indie-popper di oggi.

Il brano che apre l’album è The Girl From Ipanema, una sinuosa melodia cantata in portoghese da Joào Gilberto fino al minuto 1.20… quando subentra l’instabile voce di Astrud in un inglese stentato…assolutamente irresistibile, di chi sia stata l’intuizione di far esordire la "casalinga" dagli occhioni scuri non è ancora dato sapere con certezza, la stessa Astrud nel corso degli anni si è adoperata faticosamente, per la verità con blande argomentazioni, nel precisare quanto lei non fosse una housewife tout court eccetera, non è importante, il brano diventerà un singolo mondiale, grazie anche alla sensibilità del sassofono di Getz e la sua congenita adesione a certi ideali estetici, il soffio leggiadro ed un virtuosismo stilistico sempre al servizio del contesto penetrano l’album nella sua totalità.

Desafinado, in inglese Off Key, in italiano "Stonato", diventerà uno standard bossa e pop sui generis, beffardo il testo riguardante un cantante stonato che giustifica la sua inadeguatezza con arguti giochi di parole, mentre il pizzicato chitarrismo verdeoro di Joào Gilberto funge da elemento caratterizzante essenziale, come in Doralice o Sò Danco Samba…ennesima mega-hit coverizzata da più parti. La voce di Astrud riconquista il centro della scena in Corcovado (nome del colle di Rio dal quale svetta la famosa statua del Cristo Redentore), il brano, un altro lume spirituale bossa, è tradotto anche in inglese come Quiet Night of Quiet Stars, convincenti versioni alternative nel corso degli anni saranno offerte, tra gli altri, da Frank Sinatra e Miles Davis.

Per alcune fonti l’album jazz più venduto di tutti i tempi, Getz/Gilberto mette d'accordo senza indugio cultura popolare e snobismi jazzofili, splendida sintesi di esperienza artistica e culturale che costituirà un inevitabile modello stilistico.

D’ora in poi il cammino dei protagonisti principali della "raffinata persuasione" non sarà più lo stesso: Getz, da poco uscito da un periodo nero di tossicodipendenza, anche grazie a questo lavoro troverà nuova linfa creativa per il futuro, Joào Gilberto diviene l’immagine sacra scolpita su tavola della bossa nova, Astrud dopo qualche mese in tour con la band di Stan Getz è pronta per una carriera solista di pregevole virtù creativa e grande riscontro popolare, e Antonio Carlos Jobim? Diciamo solo che a lui verrà dedicato il principale aeroporto internazionale di Rio de Janeiro, detto questo...detto tutto!

V Voti

Voto degli utenti: 8,6/10 in media su 15 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
loson 9/10
lev 9/10
mendustry 8,5/10
wascimo 9,5/10
Lepo 8,5/10

C Commenti

Ci sono 15 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 11:09 del 15 aprile 2009 ha scritto:

Strepitoso. Un distillato di raffinatezza e ispirazione che ancora oggi può (anzi, deve) stupire. Bossa "jazzata", anticamera della lounge music che con Jobim attecchirà (e aveva già attecchito, a dir la verità) un pò ovunque nel pop occidentale, basti pensare a Burt Bacharach o alle decine di compositori di soundtrack - anche e soprattutto italiani - che si cimenteranno col "genere". Bravissimo Paul!

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 11:28 del 15 aprile 2009 ha scritto:

D'accordissimo. Ottima e meritoria recensione, disco eccellente. Tutti i chitarristi (pseudo e presunti compresi) avranno provato a suonare "desafinado". Molti, come il sottoscritto, non ci saranno riusciti. Ma tutti si saranno innamorati della canzone.

Totalblamblam (ha votato 9 questo disco) alle 11:54 del 15 aprile 2009 ha scritto:

divino

lavoro superbo, un classico della boss nova jazzata

evitate il disco di getz che rifà bacharach

disco monnezza anzi na bella gezzata

ozzy(d) (ha votato 9 questo disco) alle 15:08 del 16 aprile 2009 ha scritto:

bravo pontini, d'ora in poi basta recensioni brit, eh.....

Mr. Wave (ha votato 9 questo disco) alle 11:42 del 28 maggio 2009 ha scritto:

Una delle vette più alte (se non la più alta...)della bossa nova in chiave jazz. Gemma di inestimabile valore artistico.

lev (ha votato 9 questo disco) alle 21:43 del 10 settembre 2012 ha scritto:

bellissimo

mendustry (ha votato 8,5 questo disco) alle 18:40 del 11 settembre 2012 ha scritto:

Semplicemente meraviglioso.

Utente non più registrat (ha votato 4 questo disco) alle 21:55 del 15 luglio 2020 ha scritto:

Già disco perfetto... da Sagra della salsiccia!

"disco che mette d'accordo senza indugio anche gli snob (???) jazzofili" ECCCERTO, dopo "We Insist!", "Presents Charles Mingus", "My Favorite Things", "Free Jazz", "Explorations", "Free Fall", "Nefertiti the Beautiful One Has Come" e "Black Saint and the Sinner Lady" un discone come Getz/Gilberto non sfigura assolutamente sul piano artistico, anzi compete alla grande... Risate veramente grasse su questo punto..

Come diavolo ha fatto il recensore a dare 10 a un easy listening di tale pochezza di contenuti è un bel mistero... ma d'altronde da un fan sfegatato dei Bítols che metro di giudizio ci si può aspettare?

AntonRathausen alle 19:36 del 16 luglio 2020 ha scritto:

io sinceramente non capisco. ci sta non apprezzare particolarmente la bossa nova o semplicemente non questo disco (personalmente, per dire, a Getz/Gilberto nell'ambito samba jazz e/o bossa nova ho sempre preferito vari altri lavori di Jobim, Pascoal, de Moraes e Mariano, mentre di Stan Getz preferisco altre cose incise tra anni '50 e primissimi anni '60 affini al jazz West Coast e alla stagione cool), ma Getz/Gilberto è stato comunque uno dei dischi più importanti del jazz anni '60, visto che ha portato all'attenzione occidentale i primi passi della musica popolare brasiliana, la bossa nova, e la samba, che sono state un'influenza inestimabile non solo sul jazz successivo ma anche sulla musica pop e rock tanto in America quanto in Europa - vedasi l'Italia e la sua fascinazione per la MPB tra fine '60 e inizi '70. e oltretutto, facendolo chiamando a raccolta direttamente alcuni dei nomi più illustri della cultura brasiliana (cioè Gilberto e soprattutto Jobim, che è uno dei più grandi musicisti brasiliani della storia), evita il rischio di facili esotismi superficiali in cui certi altri dischi dell'epoca incappavano.

invece tu lo bolli in maniera superficialissima come "easy listening di tale pochezza" dimostrando di non conoscere minimamente la musica brasiliana, di non essere abituato a certe estetiche e suoni, di non avere l'orecchio per riconoscere molte finezze armoniche, ritmiche e di arrangiamento che il matrimonio tra musica brasiliana e jazz comporta anche in questo caso (poi, infatti, in diverse altre sedi commenti che non hai le competenze tecniche adeguate per giudicare da questo punto di vista). e infatti poi lo metti a paragone con dischi che non c'entrano NIENTE come We Insist!, Free Fall, Free Jazz e Nefertiti the Beautiful One Has Come. per la cronaca, nessuno dei titoli che hai citati è una pietra di paragone sensata per Getz/Gilberto, ma questi sono particolarmente eclatanti perché tradiscono l'idea - al solito - estremamente scaruffiana che nel jazz anni '60 l'hic et nunc fosse il free jazz o certe derivazioni più astratte del jazz modale/bop, e che tutto il resto fosse musica di retroguardia: ovviamente è una prospettiva che solo un incompetente che ascolta il jazz da due settimane con i paraocchi foderati da cinquant'anni di stereotipi e luoghi comuni sul jazz partoriti dalla critica europea può adottare, e non è certo uno scoop che tu ci cada con tutte le scarpe, ma lasciati dire che sembri davvero «come sarebbe Siri se potesse leggere solo i contenuti dei forum di musica di merda di metà anni '00» [cit.]

Utente non più registrat (ha votato 4 questo disco) alle 21:20 del 16 luglio 2020 ha scritto:

Guarda, che tu “non capisci” me n’ero accorto da un pezzo; e se per te questo dischetto è uno dei più grandi dischi jazz degli anni ’60 sono fatti tuoi.

Se però tu sposti la questione sull’inestimabile (sigh…) influenza che ha avuto sui futuri sviluppi del jazz e del rock, proprio non ti seguo, e perciò dimmi: quali accidenti (per non dire “cazzo”) di capolavori sono stati influenzati da ‘sto Getz/Gilberto? Forse il “Sound” di Mitchell? Il “Mu” di Cherry? “Silent Way” di Davis? “Inner Mounting Flame”? Keith Jarrett? Guillermo Gregorio? Pharoah Sanders? Don Pullen? Andrew Hill? Chi stradiavolo sono i dischi / artisti influenzati da questo disco? I dischi di Cecil Taylor, di Sam Rivers, di Braxton, di Sun Ra, di Holland, chessò dei Weather Report, chi stra-accidenti è stato influenzato da Getz/Gilberto, forse “Return to Forever”, forse “Song for my Father”, forse “Maiden Voyage”, forse “Jazz Composer’s Orchestra”, forse i dischi di Coltrane?

Ma, fammi capire, chi credi di prendere per il culo? Pensi che sparare boiate con aria di autorevolezza ti renda credibile e renda me un ignorante? Ma secondo te se un album popolarizza il folk Etiope è a prescindere un capolavoro? Se un album popolarizza il folk Cileno o siciliano o portoghese allora è a prescindere un capolavoro? Chi pensi di menare per il naso, secondo te perché questo disco ha venduto milioni di copie? Ha venduto a schiere di musicologi, di filosofi, si storici del jazz? No guarda, ti rivelo un segreto, sta roba ha venduto più di due milioni di copie nel giro di un anno da quando è uscito perché è un album banalotto (girala come vuoi, ma è un set di canzoni abbastanza uguali e tutte a basso valore artistico, e d’altro canto la maggioranza degli appassionati in linea di massima concorda con me, a riguardo) e facile da vendere alle masse, alle masse di ascoltatori pigri, distratti e poco esigenti quando si tratta di musica (Free Jazz per dire invece vendette a due gatti in croce: al solito gli Artisti vendono poco – ma lascia passare trent’anni e vedi come la “musica” cambia… basta pensare al caso VU&Nico – mentre i musicisti commerciali e superficiali sguazzano nel denaro – ma poi emerge senza pietà la loro mediocrità). Poi per se per te è “ricco di finezze armoniche, ritmiche e di arrangiamento” sono fatti tuoi, ripeto, mica mi struggerò a farti cambiare opinione (a chi importa, poi, della tua opinione?) – credo che ogni album pop anche di basso livello nasconda “molte raffinatezze in sede di arrangiamento” e magari anche più di questo album, e se per te ciò è a prescindere ammirevole… segna come capolavori tutti i dischi pop easy listening scialbi commerciali della storia come capolavori. Però fallo eh! Anche se vedo che intanto ad esempio hai dato solo 6.5 a Hot Rats, solo 5.5. a Dookie, solo 5.5 a Painkiller… si vede che ne capisci poco eh, evidentemente non cogli le “molte raffinatezze ritmiche/armoniche/compositive” di quei dischi… ma chi pensi di prendere per il culo? la coerenza alle TUE idee la cerchi negli altri, mentre te fai il cavolo che ti pare eh? Contento te guarda…

“Hai nominato una serie di dischi che non c’entrano NIENTE [apperò, un bel maiuscolo, che maschio virile ho di fronte…] con Getz/Gilberto” Già peccato che io ho nominato grandi dischi di Jazz, categoria attenzione attenzione a cui ‘sto mezzo aborto (a forza di definirlo capolavoro, mi provochi solo la reazione contraria, sappilo) di Getz/Gilberto pretende di appartenere! Tu stesso non l’hai mica definito “uno dei più grandi dischi di bossa nova dei ’60”, ma uno dei più grandi dischi Jazz (!) dei ’60. Ma va bè sono concetti tanto ovvi…

E, te ne prego, evita, evita, evita, di prorompere sempre con “Ma StAi CiTaNdo tUTTi diScHi e GrUpPi ScaARuFFiAni” perché fai davvero una figura magra, infantile, ridicola (solo Scaruffi conosce “Presents”, solo Scaruffi conosce “My Favorite Things”… ma ti rendi conto di quanto sei ridicolo?). Ripeto, non si contano gli appassionati di jazz che reputano Getz/Gilberto un discreto disco di easy listening e poco più o niente di più, quindi evita prediche goffe come “ma che ne sai te della musica brasiliana, sei un superficiale!”. E dal canto mio puoi solo andare a farti fottere se dal fatto che Getz/Gilberto mi fa cacare tantissimo tu ne deduci che “ascolto jazz da due settimane con i paraocchi foderati di decenni di stereotipi [bla bla bla]”. Ma vergognati screanzato che non sei altro.

AntonRathausen alle 1:01 del 17 luglio 2020 ha scritto:

scusa se mi sono trattenuto dal dirtelo nel post precedente dandolo solo per sottinteso, ma sei un completo imbecille. cercherò di rispondere sommariamente per punti a quello che hai scritto.

1. «Già peccato che io ho nominato grandi dischi di Jazz, categoria attenzione attenzione a cui ‘sto mezzo aborto (a forza di definirlo capolavoro, mi provochi solo la reazione contraria, sappilo) di Getz/Gilberto pretende di appartenere! Tu stesso non l’hai mica definito “uno dei più grandi dischi di bossa nova dei ’60”, ma uno dei più grandi dischi Jazz (!) dei ’60. Ma va bè sono concetti tanto ovvi…»

sono concetti così ovvi che intanto se fai ctrl+f "capolavor" trovi solo quella parola utilizzata da te. io ho scritto che è uno dei dischi più importanti del jazz anni '60 (cosa fattualmente vera, perché se un disco jazz vende due milioni di copie ha un impatto che un lavoro come Mu - che amo inestimabilmente di più, per la cronaca - non può avere per meri motivi di volumi di vendite e accessibilità al pubblico/musicisti. tra l'altro comincio il post dicendo letteralmente "ci sta non apprezzarlo" affermando che io stesso ho preferenze diverse molto più spiccate sia nella produzione di Getz, sia nella produzione di jazz brasiliano/bossa nova/samba jazz, e questo dimostra solo una cosa: che sei carente pure nel mero ambito di comprensione del testo (e in più fa vacillare molti dei tuoi argomenti, che sono proiezioni del fatto che secondo te io abbia detto che questo è un capolavoro: per farti capire quanto sia sbagliata questa assunzione, allo stato attuale delle cose sarei indeciso tra un 6 e un 6.5 - è anche per questo motivo che non l'ho ancora votato, visto che non posso più cambiare il voto).

2. ma ti rendi conto di che cultura completamente frammentaria e parziale del jazz hai? hai citato solo musicisti appartenenti alla scuola del free/avant jazz o del jazz elettrico/fusion, ma il jazz non è solo quello. ti sorprenderà, ma c'è un intero mondo di musica bossa nova, jazz latino, samba-jazz, etc. che ha avuto un'influenza inestimabile sulla musica pop e jazz in egual modo - ed è successo anche perché dischi come Getz/Gilberto hanno portato all'attenzione del grande pubblico e del music biz certe sonorità ai tempi poco conosciute. la bossa nova e la MPB in generale (di cui Getz/Gilberto è un disco cardine) hanno influenzato tantissimo la library music e la musica per colonne sonore, il pop (e qua a voglia di fare nomi), perfino la new wave con gente come gli Ambitious Lovers - e ripeto, se questi generi sono diventati famosi è merito non unicamente, ma anche e in maniera sostanziale, di lavori come Getz/Gilberto (e di Transa, e di Wave, e di tantissimi altri album). nel jazz, in chiave più cerebrale (Steve Coleman, Henry Threadgill, Hermeto Pascoal, Egberto Gismonti, Gato Barbieri) o più rispettosa della tradizione (appunto Stan Getz, Charlie Rouse, Paul Desmond, il Modern Jazz Quartet), ci sono centinaia di artisti che a partire dagli anni '60 hanno cominciato a flirtare con i ritmi della musica brasiliana assimilandola nel linguaggio ritmico afro-americano. senza contare che comunque anche tra i nomi che citi tu gente che un po' di musicra brasiliana e di bossa nova se l'è ascoltata ce n'è. citi Miles Davis che sui dischi elettrici si è avvalso di Airto Moreira che era un percussionista che indovina da che scuola musicale veniva? (hint: nello stesso anno in cui ha inciso Super Nova di Wayne Shorter e Live-Evil di Miles Davis, ha partecipato anche a Stone Flower di Tom Jobim). citi Keith Jarrett che su quei dischi di Miles Davis ci ha suonato e infatti ha importato i ritmi della bossa nova e della musica brasiliana nella sua musica (dichiaratamente). citi Song for My Father di Horace Silver, che dichiaratamente utilizza ritmi bossa nova ed è stato influenzato dal viaggio che Silver aveva fatto in Brasile nel 1964. poi non citi gente come Archie Shepp, che l'anno successivo alla pubblicazione di Getz/Gilberto incideva una versione assurda di The Girl from Ipanema su Fire Music.

3. ho già specificato nel punto 1. che a livello di apprezzamento personale non è che ci sia chissà quale differenza tra questo disco e Hot Rats (che a mio avviso è tra gli album più prevedibili e meno creativi della stagione maggiore di Frank Zappa - per quanto contenga comunque dei momenti di grande qualità). e ovviamente non mi permetterei mai di paragonare Getz/Gilberto a Dookie o Painkiller perché, essenzialmente, non ho danni permanenti al cervello che mi costringono a confrontare mele e pere. ma il punto fondamentale è: se io ho dato quei voti è perché conosco bene (nel caso di Painkiller, estremamente bene - molto più di quanto tu possa sperare di conoscere nemmeno se ascoltassi solo metal degli anni '80-'90 per i prossimi cinque anni, e sono completamente serio quando dico questa cosa) il loro genere di appartenenza, i loro riferimenti estetici e culturali, etc. quindi se dovessi spiegare per es. perché Painkiller non mi fa impazzire parlerei dei trend speed/power metal di fine anni '80 che l'hanno influenzato, dei suoni, della performance vocale di Rob Halford, di certo non mi appellerei a uno pseudo-principio di autorità citando dischi che non c'entrano niente ma più o meno coevi come Slow Deep and Hard, Unquestionable Presence, Souls at Zero o Streetcleaner.

in più, ovviamente, se dovessi parlare di Painkiller e di Hot Rats non mi permetterei mai di dire che sono dischi "perfetti solo per la sagra delle salsicce" e che sono "di una tale pochezza di contenuti". questo perché, di nuovo, io non sono un completo imbecille e quindi so muovere critica in maniera matura e acuta (almeno ai dischi; con le persone invece mi viene da essere un po' più tranchant, soprattutto se tanto ottuse).

4. di nuovo, scusa se mi ripeto, ma sei un cretino. ovviamente My Favorite Things e Free Jazz (o anche Charles Mingus Presents Charles Mingus) sono classici riconosciuti a livello universale in ambito jazz, ma citare lavori come We Insist!, Nefertiti the Beautiful One Has Come, Free Fall, The Black Saint and the Sinner Lady, e nell'ultimo post anche Sound, Mu, addirittura Guillermo Gregorio che ci calcoliamo in cinque, e fare finta che siano dischi che non si rifanno chiaramente a una certa estetica e una certa storiografia jazz di derivazione scaruffiana (e quindi, ridicola, anti-storica, e viziata da una completa incomprensione della sintassi del genere per cui ne coglie solo un filone - tra l'altro ormai chiuso e superato dalla storia - incapace di comprendere i frutti di altri filoni, come è evidente in questo caso) è una cosa che mi aspetto, appunto, da una persona con capacità intellettuali molto misere. poi con che faccia fai finta di non essere una diretta emanazione delle più miopi posizioni di Scaruffi se ti piace Bill Evans ma al Sunday at the Village Vanguard che è uno dei dischi che hanno rivoluzionato i rapporti di forza nel piano trio jazz hai dato 6, guarda caso esattamente come ha fatto lui? dai per favore fai il serio.

(btw, quelli che citi sono tutti dischi che amo e non dico che "piacciono solo a Scaruffi" - anzi, se bazzichi rym come penso, ci sono possibilità non nulle che Free Fall sia passato nei tuoi radar anche per via delle mie sponsorizzazioni su quel sito. la differenza fra me e te, di nuovo, è che io la storia del jazz la conosco e ne ho una visione che, pur non essendo a 360° e non ci si avvicini a esserlo, è piuttosto seria e sistematica, e perciò quei dischi sono solo alcuni di quelli che conosco e ascolto.)

FrancescoB (ha votato 8 questo disco) alle 8:28 del 17 luglio 2020 ha scritto:

Ragazzi datevi una calmata su, che non è il caso di massacrarsi a vicenda per Getz & Gilberto, e neppure per Coltrane o Mozart

Gennarino mi sei simpatico e ho apprezzato le tue ultime recensioni, e la mia visione del jazz è anche piuttosto affine alla tua, quantomeno nei settori post-bop/free e avant, ma sotto alcuni profili puramente storici e tecnici, e al netto degli attacchi personali che non posso né voglio condividere, quoto l'ultimo intervento di Rathausen.

La storia del jazz è vastissima, in continua evoluzione, ed è fondamentalmente impossibile per ciascuno di ogni conoscerla in toto. Il post-strutturalismo da decenni ha disintegrato l'idea stessa di una conoscenza universale, completa, tanto più quando si parla di arte, di comunicazione, di generi musicali, perciò partiamo tutti dal presupposto che siamo ignoranti in materia, io per primo.

Sottoscrivo quanto detto da Rathausen nella misura in cui, appunto, non possiamo attribuire al filone jazz che matura in America a fine anni '50 e dà il meglio per una quindicina d'anni un ruolo non solo centrale, ma cardinale all'interno della storia del genere. Non è così, la stessa concezione americanocentrica è stata messa in discussione già a partire dagli anni '70, la parola jazz (esattamente come la parola rock, o elettronica, o classica) allude a una serie sterminata di universi estetici, di filoni, di mondi, che in larga misura io non conosco peraltro. Adoro ciò che accade tra Parker e l'AACM, ma non mi illudo che il "vero jazz" si identifichi solo con quella fase, con quella specifica produzione: perciò Gennà non cadere tu nell'errore, che probabilmente è un peccato di gioventù

Valutare la bossanova o questo lavoro (che io invece trovo meraviglioso, per inciso) alla stregua dei parametri tecnici, estetici e persino "filosofici" che utilizziamo per il free jazz è un gigantesco errore di prospettiva, una sorta di bias cognitivo di cui rischiamo di essere inconsapevoli e che però castra le nostre facoltà di giudizio e la nostra lucidità. Così operando, commettiamo lo stesso errore dei musicisti che rimproveravano a Coleman di non esporre un tema chiaro o ballabile e non di rispettare la struttura convenzionale della ballad, o dei critici che rimproveravano ai Sex Pistols di non essere in grado di suonare brani complessi, o di coloro che ridevano di Pollock perché non si capiva nulla di ciò che dipingeva.

Il free jazz, che era nato come la forma d'espressione più anticonvenzionale e forse rivoluzionaria dell'intero novecento, almeno in ambito "popolare", con il tempo si è trasformato (in alcuni casi) in un dogma, in una sorta di ortodossia che in Europa viaggia spesso a braccetto con motivazioni di carattere latamente politico (e lo dice uno che si schiera senza problemi da quella parte politica, per inciso), ma questo ha finito per depotenziare le capacità critiche e di analisi di alcuni suoi fruitori.

In sintesi, Gennà, dato che stai maturando una notevole passione per il genere, non farti ingabbiare da questa o quella concezione estetica dogmatica, perché non ha valore universale né può essere applicata a mondi che le distano anni luce. L'errore più grande che un appassionato e un critico possono commettere è quello di prospettiva, è quello che riguarda i parametri di giudizio e il loro valore. Il suo più grande merito, lasciando da parte la preparazione storica e tecnica, è secondo me invece proprio rendersi conto della relatività di questi parametri, e applicarli quindi cum gran salis

Utente non più registrat (ha votato 4 questo disco) alle 9:04 del 17 luglio 2020 ha scritto:

Ma il succo del discorso di Rathausen io lo comprendo e lo condivido anche, è chiaro che ridurre un genere vastissimo come quello che chiamiamo "Jazz" a un paio di estetiche/artisti come il tetragono Davis/Coltrane/Coleman/Mingus è fuorviante e limitante.

Il punto è il modo barbaro, avvilente, per nulla costruttivo, con cui a gamba tesa Rathausen irrompe sulle scene, con cose come "è evidente che non hai l'orecchio per cogliere tutte le raffinatezze armoniche ritmiche dell'opera" e "è evidente che non hai l'intelligenza e le conoscenze per comprendere come sia stato di inestimabile valore per lo sviluppo della musica jazz", per inciso tutti commenti su cui potevo tranquillamente soprassedere, ma il cafone Rathausen non è capace di trattenersi e non può esimersi dal rincarare la dose con un linguaggio rozzo e avventato: "tradiscono l'idea - al solito - estremamente scaruffiana che [...] ovviamente è una prospettiva che solo un incompetente che ascolta il jazz da due settimane con i paraocchi foderati da cinquant'anni di stereotipi e luoghi comuni sul jazz partoriti dalla critica europea può adottare, e non è certo uno scoop che tu ci cada con tutte le scarpe" e "ma lasciati dire che sembri davvero «come sarebbe Siri se potesse leggere solo i contenuti dei forum di musica di merda di metà anni '00".

Perché è troppo difficile usare educazione e trasmettere concetti senza fare il gradasso lingua lunga eh Rathausen? È necessario ricorrere a queste frasi basse, sennò come si fa a smuovere le acque, eh? Da lì la mia risposta pepata.

Comunque, oltre a cercare (magari spesso fallendo eh, mica mi ritengo infallibile o cosa) di capire il contesto, sostanzialmente ritengo un disco un capolavoro o meno se riesce a trasmettermi molte emozioni oppure no - il fatto che poi io scopra che tale album ha usato per la prima volta un flauto con imbuto o abbia popolarizzato il freejazzpunkinglese o che all'autore è morta la figlia prima dell'incisione, sono tutte cose che vanno in secondo piano. Questo disco non mi ha trasmesso nulla e mi ha torturato le gonadi, iacitur ecco spiegato il voto e la sentenza "da Sagra della salsiccia". Ma, d'altronde, non ho bisogno di alcuna giustificazione per i miei giudizi, naturalmente.

FrancescoB (ha votato 8 questo disco) alle 10:38 del 17 luglio 2020 ha scritto:

Gennà, il gusto è indiscutibile per definizione, quindi la tua idiosincrasia per questo tipo di jazz è non solo legittima, ma come giustamente osservi insindacabile, ed è anzi ridicolo pensare di sindacarla; trovo da sempre quantomeno censurabile l'atteggiamento di coloro che vogliono sindacare i giudizi di gradimento altrui, anche perché di solito simili interventi arrivano da chi reputa insindacabili i propri. Scaruffismo e antiscaruffismo (ma davvero ne stiamo parlando ancora nel 2020? ghghgh) sono due facce della stessa medaglia e sono vittime di analoghi limiti cognitivi e di consapevolezza.

Diverso è il discorso che esula dal puro gusto, perché in quel caso la libertà di opinione deve essere supportata da elementi chiari sul piano storico, tecnico, argomentativo etc.. diversamente svilisce ogni discorso. In questo caso, possedere un minimo di strumentazione culturale (sempre limitata e insufficiente, sia chiaro) diventa imprescindibile, io sono legittimato a schifare Fellini, ma devo limitarmi a schifarlo ed evitare analisi che non sono in grado di sviluppare, se non so nulla di cinema italiano. Tutto qui

Giuseppe Ienopoli alle 8:01 del 19 luglio 2020 ha scritto:

... da questa sorta di triello made in Sergio Leone ho percepito che parlare di Jazz è più difficile che comprenderlo.

Resta da stabilire di chi è il ruolo del cattivo ... AntonRathausen o Giorgio_Gennari? ... interessa meno il brutto con la pistola scarica, il trono del buono è tuo FrancescoB e su questo non ci piove nemmeno in pieno inverno!