R Recensione

7/10

The Dickens Campaign

Oh Lovely Appearence

American Graffiti.

E forse pure meglio: “Oh Lovely Appearence” è un gentile e doveroso omaggio dei compagni di Dickens a quel genio ribelle chiamato Alan Lomax. Uno che in piena crisi economica (guarda un po' i corsi e ricorsi della storia) si mise a scavare negli archivi a cielo aperto disseminati lungo le strade polverose e interminabili che avrebbero affascinato Jack Kerouac, mettendo su nastro ore su ore di ben di dio. Gli archivi parlano di migliaia di ore di registrazioni, di sonorità e temi atavici scovati nel bel mezzo del nulla, di una devozioe commovente.

I Dickens sono innamorati dei field recordings e decidono di celebrare la Storia di Alan Lomax, il che equivale a dire la Storia della musica popolare americana della prima metà del secolo, ma anche tutte le sue diramazioni successive.

Senza per questo rinunciare a irrobustire i temi traditional con possenti dosi di classe esecutiva, fantasia (le mirabili variazioni di tono, i soli di chitarra che sono blues-rock ancestrale eppure fluorescente), mestiere.

Non suonano banali, i Dickens, se è questo che temiamo: sono devoti ma pregano con la testa sulle spalle e con la schiena dritta. Hombres Verticales.

La batteria schiumosa e shuffle si confronta con una cornetta (strumento principe del jazz delle origini, quello germogliato dispettoso nel clima umido di New Orleans, in mezzo alla gentaglia peggiore, fino a quando non ha fatto irruzione Satchmo) e una chitarra mobile e fantasiosa, che trae ispirazione da mille fonti diverse (blue grass, soul, jazz, blues tradizionale, persino hard-rock etc....).

Dickens (batterista) è il terzo perno, ed è particolarmente ispirato.

Rimaneggia classici e tradizionals con intelligenza, senza snaturarli: “As I Went Out for a Ramble”, trafugata dal libro-repertorio “Our Singing Country: Folk Songs and Ballads”, è in tal senso un esempio di classe cristallina, dove non si spreca una nota, dove si vuole creare spazi immaginari e musica che apre la mente ai ricordi, alla nostra dimensione atavica. “Poem”, che porta la firma del cornettista Knuffke, fa ancora meglio: distilla note preziose e prolungate, neanche avessimo a che fare con una versione umile e polverosa di Miles Davis. “Twice My Heavy” si colora di venature hard, bop e rock, con la chitarra che scheggia più cruenta del solito e la cornetta che si muove su tempi più agili e pungenti. La conclusiva, lunga “Waiting” è il pezzo più romantico, una serenata da neighbour illuminato dalla luce fioca dei lampioni, una cavalcata in mezzo alla prateria. La melodia è forse la più toccante di tutto il disco.

Questo trio certo non rivoluzionerà la musica, ma la passione sanguigna che scorre lungo i solchi ideali tracciati nella storia da questa amabile apparizione merita comunque un ascolto attento e meticoloso. Perché i Dickens centrano l'obiettivo in parte mancato, invece, da un vecchio saggio come Bill Frisell, il cui pur discreto "Big Sur" suona molto, molto più scolastico.

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