The Ex & Brass Unbound
Enormous Door
Una porta enorme verso un concetto decisamente personale di ciò che il post-punk dovrebbe essere nell'anno di grazia 2013.
E' quella che aprono gli Ex (band olandese old style, anarco-punk sgraziato e plasmato su dinamiche funk-politiche degne della Banda dei Quattro) e i Brass Unbound, combriccola di fiati sgargianti dedita a un funk-jazz slabbrato che evoca i contorsionismi della Hypntic Brass Ensemble.
Il revival wave che ha veleggiato per un decennio sull'oceano della musica alternativa ha guardato prevalentemente al chitarrismo angelico dei Chameleons, alle figure cupe dei Joy Division, alle litanie dei Television. Atmosfere chitarristiche malinconiche (devo citare quantomeno Johnny Marr) fanno da sfondo a melodie soffuse e dolci, amplificano l'eco dell'anglo-pop a tinte scure che ha segnato il passaggio fra gli anni '70 e gli anni '80. A volte con personalità, altre come semplici emuli privi di un talento anche solo lontanamente paragonabile a quello delle muse ispiratrici.
Gli Ex appartengono a un filone new-new-wave decisamente diverso, che si appropria con decisione dei ritmi eversivi della musica nera: non parlo tanto di un delirio Beefhartiano stile Pop Group, ma del funk granitico, più bianco del bianco, dei Gang of Four e di alcuni fra i loro migliori discepoli (lo spazio sonoro acrobatico dei Fugazi, e non cito a caso una band hardcore-punk che ha saputo inglobare stilemi funk e reggae/dub).
Aggiungiamoci un filo di antagonismo politico militante di scuola Oi!, ammorbidito e ridimensionato da un'ironia amara e surreale in stile Devo, e possiamo farci un'idea della proposta articolata del curioso ensemble che ha pubblicato "Enormous Door".
Sempre di revival post-punk si parla, ma le coordinate di riferimento sono decisamente diverse rispetto alla media: la propulsione ritmica che trascina i vari pezzi è contagiosa e a tratti dirompente.
La presenza di un folto gruppo di strumenti a fiato, ora più vicini ad abbracciare atmosfere da blaixploitation anni '70, ora più brutalmente funk, rendono la miscela gustosa e affascinante. Il fitto dialogo fra tromba, sassofoni vari e percussioni tribali (si presti l'orecchio al prologo di "Red Cow", per farsi un'idea) è il vero valore aggiunto.
Quello che manca è forse una ispirazione costante e sontuosa in fase di songrwriting: le costruzioni melodiche sono sempre piuttoso elementari e ripetitive, si accasciano troppo presto, si riducono spesso a mere declamazioni. Fortunatamente, però, l'enfasi e l'energia che le innervano (salutari quanto mai, in un contesto dominato da voci spettrali e prive di grana), sono in grado di redimerle e di originare un impasto accattivante.
Gli Ex sono fra i pochi fedeli alla linea che hanno ancora qualcosa da dire: auguriamoci che contiuino così.
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