The Nels Cline 4
Currents, Constellations
Le chiamano coincidenze, in mancanza di un termine migliore (e daltro canto, come si fa a definire qualcosa che di fatto non si conosce?). Sarà. Preferisco pensare a quel 9 marzo di tre anni fa come ad unepifania: il disvelamento, questo sì etimologico, di una realtà celata allo sguardo. Andai ad ascoltare i Singers di Nels Cline con la vaga ambizione di godere delle acrobazie di uno dei migliori chitarristi viventi al mondo e della sua all star band (Trevor Dunn, Cyro Baptista, Scott Amendola, non so se ci siamo capiti): ne uscii con lanima stravolta e con il cuore in tumulto, investito in pieno da unesperienza che mi avrebbe cambiato per sempre. Come il Leonard Shelby del Memento nolaniano, i ricordi di quella serata emersero in superficie un po per volta, disordinatamente: il brano dapertura del set, ad esempio, era durato tre quarti dora (ma non erano due minuti? o forse duecentosettanta?); Cline, elegantissimo in camicia e gilè dordinanza, suonava con fluidità imbarazzante difficile a dirsi, viste le posture sghembe e i movimenti spezzati; ogni tanto si metteva a cantare, le distorsioni si accumulavano, larpeggio cedeva il posto allo shredding; e, ad un certo punto, era addirittura saltato fuori il tema di Vitti na crozza. Vezzi, se si vuole, piccolezze, eppure sarebbe stato tutto inutile senza lintima consapevolezza dellassoluta unicità di ciò che avevo di fronte: una performance così profondamente, inconfondibilmente autentica non lavevo mai esperita prima dallora.
Succede questo, nei dischi in cui è coinvolto Cline in prima persona: non una plateale rottura formale del mezzo comunicativo, ma la riscrittura di un già noto campo semiotico caratterizzata da una creatività tracimante e da una personalità del tutto sui generis. Oggi, poi, che il chitarrista losangelino sta approcciando traiettorie stilistiche più sofisticate e conservative, lo scarto tra intenzione e forma assume proporzioni ancora più rilevanti. Temporaneamente congelata lesperienza Singers (nel SASSAS Records V1.2 di recente uscita è finito un pezzo del 2013, precedente allultimo meraviglioso Macroscope), e in attesa di novità dallimprevedibile galassia Wilco (Schmilco è di un paio danni fa), Nels riparte di scatto con un quartetto nuovo di zecca. E che quartetto: Tom Rainey (Ingrid Laubrock, Mark Dresser) dietro le pelli, Scott Colley (Chris Potter, Enrico Pieranunzi) al basso e, soprattutto, come migliore spalla e formidabile nemesi alla chitarra, il folletto Julian Lage (recente acquisizione di Tzadik e già coautore con Cline, nel 2014, dellostico Room). A benedire loperazione, nientemeno che madama Blue Note, per cui Cline aveva inciso a suo nome il canzoniere moderno Lovers (2016): uninvestitura pesante, che però la dice lunga sul blasone dei nomi in azione.
Una tweetcensione potrebbe, a questo punto, riassumersi così: Currents, Constellations è il lavoro di jazz chitarristico più tradizionale e al contempo anticonformista che vi potrebbe capitare di ascoltare nel 2018. Ma visto che siamo una specie in acclarata via destinzione, e con noi i ragionamenti che evitino il gioco meccanico e manicheo del nero-bianco a tutto tondo, sceglieremo di spenderci sopra qualche parola supplementare. Anche perché, volendo, di cose da dire ce ne sono davvero tantissime: più o meno tante quante le idee che fioriscono in ogni brano del disco. La magia della scrittura del leader sta nel giocare col suo pubblico, travestendo un pugno di autografi con il piglio autorevole degli standard contemporanei: il gruppo, poi, fa quello che vuole, in barba ad ogni convenzione, ma lascoltatore è lasciato libero di credere ciò che vuole e, spesso, nemmeno si accorge del tranello. Da qui la disorientante dissociazione di cui sopra: come fa un disco così standardizzato a suonare così eretico? Forse perché ecco i tre quarti dora del momento standardizzato non lo è per niente. Una meraviglia dietro laltra, allora. Nelliniziale Furtive, le lussureggianti, spesso dissonanti stringhe noir-jazz di Cline e Lage si appoggiano ad una favolosa sezione ritmica memore degli esotismi del Duke Ellington di metà carriera. Le pomellature di Swing Ghost 59 prendono fuoco in un fittissimo interplay fusion-prog, tra Fripp e McLaughlin: quanto alla letale Imperfect 10, il boogie cartoonesco della head si incaglia in un vortice di scambi chitarristici che, sul finale, rivela tutta la propria anima punk.
Considerevoli anche le variazioni su tema con leccezione parziale degli instabili contorsionismi free jazz di Amenette, unesaltazione non necessaria delle superiori doti tecniche del quartetto. Dai lirici chiaroscuri non consequenziali di Temporarily, brano originariamente scritto da Carla Bley per il 1961 del trio di Jimmy Giuffre (1992), al candido rigore jazz rock di As Close As That (ragione e sentimento: il cool della generazione X, sciatta fuori e colta dentro), dal bop minimalista di River Mouth che si riscopre guizzante chanson psichedelica (un passaggio tra segmenti, questo, eseguito con una naturalezza veramente impressionante) al romanticismo scheletrico e trattenuto degli accordi sospesi nel vuoto di For Each, A Flower, ogni brano parla nel suo idioletto al cuore di chi intende porgere lorecchio: un sospiro, unillusione, e poi più nulla.
Finisce così, ed è persino difficile render(si) conto che sia davvero finita. Theyve done it, ma bravo chi riesce a coglierlo al volo
Tweet