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R Recensione

8/10

Theo Croker

Escape Velocity

Posso tirare un sospiro di sollievo, e dichiararlo ai quattro venti: il jazz contemporaneo vanta una batteria di talenti notevole.

Ai soliti nomi, mi sento in dovere di aggiungere quello di Theo Croker, trombettista sulla trentina, nipote d'arte (il nonno ha dato il meglio di sé nella New Orleans che fu), e figlio putativo di un certo Donald Byrd, che gli ha rivelato i segreti dell'ottone.

Escape Velocity” è il lavoro che lo consacra come artista maturo e personale. Croker segue le orme di Akinmusure e di Kamasi Washington: ovvero, ricorre al trucco più vecchio del mondo, mescolando tradizione e idee mutuate da filoni contemporanei. Ne ricava sonorità personali e attente ai gusti del pubblico più giovane.

Donald Byrd significa la diversa forma di libertà del jazz modale, con tanto di escursioni in contesti propriamente free (il fantastico e programmatico “Free Form”). Ma Byrd significa anche tante altre cose, nella fattispecie la capacità di intravedere nel giovane Crocker doti superiori: sono infatti passati quasi dieci anni da quando il ragazzo della Florida, al tempo neppure ventenne, ha incantato il nobile maestro, inducendolo a qualificarlo come virtuoso trascendentale e di grande personalità creativa; insomma come un musicista potenzialmente in grado di deviare il corso della storia del nu jazz.

Altre menti illuminate hanno sprecato lodi, evidenziando come il suono della sua tromba sia veramente unico (credo sia il più grande complimento che si possa fare a un musicista), impettito, pulito. Ma anche naturale, lieve, elastico in modo morbido, senza forzature: Cocker fa sembrare tutto facile, e in linea di principio questa è la qualità che consente di distinguere i grandi talenti dai musicisti bravi - bravi e basta (un talento semplifica, un accademico complica).

Per quello che vale, posso dire di essere d'accordo con i critici veri: “Escape Velocity” è un concentrato di numeri in equilibrio fra stili consolidati (il jazz modale, il bop e tutte le filiazioni hard: credo che Freddie Hubbard si stia rivoltando nella tomba dalla gioia, forse in compagnia del dolce Booker Little) e idee al passo con i tempi, il che oggi significa il tourbillon all-black che non ci stanchiamo mai di lodare, su queste pagine.

Tradotto: jazz-funk da far impallidire Shorter e Pastorius (ascoltare per credere il giro di basso e il solo della tromba in "This Could Be (For Travveling Soul)", salti mortali in direzione avant hip-hop, l'eco di soul e gospel, e magari anche una strizzata d'occhio alla Giamaica e alla musica da ballo (nei lavori precedenti ha pure "coverizzato" Michael Jackson).

Theo non è solo: si è circondato di tastiere, sassofono, flauto, chitarra, basso elettrico e basso acustico, percussioni cubane. Si è circondato pure di gente che questi strumenti se li mangia colazione, e che conosce i segreti della musica nera.

We cant' breathe”, con le tastiere, fa il verso all'Herbie Hancock dell'epoca Davis, spruzzando energia funk da ogni poro. Il sassofonista non perde tempo e regala pezzi di bravura (equilibrati ma strani) in odore di Shorter, magari uno Shoter che ha ancora ben presente la lezione di Coltrane. Nel frattempo, Cocker sfrutta, e anzi quasi amplia tutta la gamma espressiva della tromba, soffiandoci dentro come se si trattasse di bere un bicchiere d'acqua, ovvero con tutta la grazia possibile. I solo all'unisono (fra sax e tromba) di “It's Gonna Be Alright” sono esaltanti: ancora una volta, il segreto è l'equilibrio fra la dirompente energia espressiva dei musicisti e la loro leggerezza (mi verrebbe da citare la leggerezza positiva del Calvino delle lezioni americane). Che dire poi dell'intermezzo virato reggae, con i vocalizzi di mezza band?

Because of You” guarda al lirismo meditabondo di Miles e Chet Baker, così come la conclusiva “RaHspect (Amen)”, forse il momento più toccante di tutto il disco. Non vi tedio più: cito solo l'energia – in odore di Weather Report – di “Changes”, che vanta forse il giro più riuscito dell'opera (anche qui: apparente semplicità che mimetizza una tecnica sublime e strutture ampie), e l'ambient-jazz dilatato in ottica IDM di “Raise Your Vibrations”.

Jazzofli che sfogliate queste pagine virtuali, siete avvisati.

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ciccio 8/10

C Commenti

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FrancescoB, autore, alle 14:26 del 28 agosto 2016 ha scritto:

Codias sono curioso di conoscere il suo parere sul disco in questione! Penso che possa essere nelle sue corde

fabfabfab alle 9:35 del 29 agosto 2016 ha scritto:

Lo immagino. Appena ho mezz'ora di respiro provvedo.

Paolo Nuzzi alle 10:23 del 9 settembre 2016 ha scritto:

Azz, bravo Francesco. Appena ho tempo lo agguanto e passo all'ascolto!