R Recensione

7,5/10

Vanessa Tagliabue Yorke

Diverso, Lontano, Incomprensibile

Le tre parole scelte da Vanessa Tagliabue Yorke per il titolo del suo nuovo album descrivono alla perfezione l’intento della cantante lombarda: un insieme di suoni diversi per provenienza culturale e geografica, a volte apparentemente inconciliabili, che la sua splenda voce amalgama con un tocco leggero e armonioso. C’è davvero tantissimo nel nuovo lavoro di quest’artista eclettica, che cita tra le sue influenze tanto il jazz di Bix Beiderbecke quanto la classica di Claude Debussy: non solo il jazz, ma anche melodie che profumano d’oriente, come quelle che troviamo in “Con Khi”, i suoni mediterranei e la melodia affascinante del brano egiziano Leile Wa Leila”, cantato in lingua originale, e la cultura asiatica di “Indonesiana”. Qui la cantante si appropria, con una voce sorprendente che spazia tra classica, jazz e musica sperimentale, di un testo del compositore indonesiano Gumbira, creando un brano onirico, che lei stessa descrive come “un lungo sogno, in cui lensamble risponde alla mia voce con lo spettro della nota sulla quale essa stessa si fermava a ogni frase”.

Traspare tutta la voglia di cercare strade nuove, più sperimentali, anche in altri momenti del disco: in “Skrjabin”, dove i suoi vocalizzi si appoggiano a una bella melodia creata da piano e clarinetto, nell’improvvisazione per voce e clarinetto di Monkey Improvvisation”, e in “Grazie degli incubi”, brano basato su un solo accordo, dove la cantante sperimenta con le note, usando la voce come uno strumento tra gli altri. In “Mlyana”, tra note e vocalizzi, s’intuisce anche una linea melodica quasi pop, in un confronto continuo tra la voce e lo splendido clarinetto di Francesco Bearzatti.

Anche la poesia è stata fonte d’ispirazione per Vanessa Tagliabue Yorke in quest’album: i versi di Charles Baudelaire e Marcel Broodthaers compongono il testo di “Zebra”, mentre in “Orchidea Song” il testo è del poeta thailandese Sunthnorn Phu. In questo insieme di suoni e culture dalle più diverse origini, la cantante non può dimenticare quella musica da cui è partita e alla quale è ancora legata, cioè il jazz delle origini, omaggiato con due brani posti in chiusura del disco: “T.G.T.T.”, omaggio al grande Duke Ellington con una versione davvero splendida, e “Ill Be Seeing You”, un classico del jazz, già nel repertorio della grande Billie Holiday, riproposta con una splendida interpretazione, sostenuta ancora una volta da una band eccellente, la Yorkestra, in cui spicca il clarinetto di Francesco Bearzatti, con Paolo Birro al pianoforte, Enrico Terragnoli alla chitarra elettrica, banjo e podofono, Salvatore Maiore al violoncello e contrabbasso, Giovanni Maier al contrabbasso e Michele Rabbia alla batteria.

E il jazz è in realtà la base concettuale del lavoro, cioè il tentativo di creare un disco dove “la parola non è ostacolo alla musica”, proprio come nel jazz delle origini. Un disco dove tra testi veri e propri e vocalizzi, l’artista (che si è occupata anche della composizione dei brani originali, della direzione e degli arrangiamenti) crea un suono affascinante in maniera naturale e con una tale leggerezza che sorprende ancora di più delle sue straordinarie doti vocali.

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