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7/10

Walter Marocchi Mala Hierba

Alisachni

"Sì, io sarò anche il presunto jazzofilo della nostra webzine, ma queste perle me le passi tutte tu, Marco. Quindi devo ridimensionare il mio ego: il vero esperto sei tu, perché scovi il meglio della nostra scena contemporaea (neanche troppo nascosta, in questo caso), mentre io sono troppo pigro e mi addormento quando dentro le cuffie suona il Treno Blu.

Per me è sempre piacevole scoprire che in Italia ci sono musicisti quadrati che provano a mettere il silenziatore alla canzone AABA con tanto di rime amare/baciare/dimenticare, e si intestardiscono lungo percorsi decisamente inusuali.

Walter Marocchi, leggo sul web, è un milanese classe 1976 che sa fare di tutto e sa farlo piuttosto bene, a quanto pare.

A me interessa soprattutto che sappia scrivere e interpretare la sua musica, e questo "Alisachni" - al netto di qualche passaggio un po' troppo scolastico - mi sembra una prova schiacciante a favore della tesi (sempre il web mi corre in soccorso: il titolo pare indichi – in lingua greca – il sale che l'acqua marina dimentica sulle rocce dei litorali; l'immagine si sposa alla perfezione con la multiforme proposta della band, salatissima eppure difficilmente catalogabile: non si riesce proprio a stringerla fra le dita, si inabissa nel blu ancor prima che tu possa visualizzarla).

La sua chitarra onnisciente e sontuosa è una manna dal cielo per tutti i devoti delle sei corde: "Hobo" vuole rievocare i grandi maestri del blues – il vagabondo errante che riscrive la storia della musica americana - e non fatica a portare a termine la missione. Il tema sembra incespicare e invece si libra pulitissimo, e parlando di zingari viene quasi naturale evocare Django, e Walter in effetti volteggia sopra un deltaplano altrettanto libero e felice.

La musica latina e il jazz la fanno da padroni: "La Cueva del Gato" riflette i luoghi del titolo nei movimenti andalusi delle sei corde, alla voce è solenne e suadente l'interpretazione di Giovanna Ferrara; "Tango del pesce azzurro" sfrutta schemi ritmici argentini mentre le acciughe fanno il pallone (ok, non c'entra nulla, ma qui si parla di acciughe e di ricette per davvero, i "numeri" sferici del tema sono proprio un pallone).

I "Mala Hierba" in teoria sono un quintetto, ma qui dentro si vede molto altro, l'impasto strumentale risulta decisamente ricco e affascinante. Forse racchiude il meglio che la nostra scena musicale può offrire nella terra di confine fra musica underground e luci delle ribalta: perché tale Fabrizio Mocata è un pianista classico-jazz (e molto altro: ama il tango, a quanto leggo) che ha fatto innamorare gente importante e non solo il sottoscritto, mentre Carlo Ferrara è bassista fra i più originali che mi sia capitato di ascoltare nell'ultimo lustro (e non solo perché sperimenta le cosidette "corde doppie", e qui usa un basso a dieci corde!).

Vai tu Marco, c'è molto altro da dire: le carezze in levare degli accenti reggae, le sfumature arabeggianti e quelle di stampo boppistico, le blue note. Marocchi e i suoi hanno decisamente preso le distanze da ogni genere per abbracciarne un'infinità. E anche se qua e là l'ispirazione sembra attenuarsi, l'esito complessivo mi suona soddisfacente"

"Troppo gentile, Francesco. Ma più che inarrestabile seeker, sono un appassionato di altre storie. Quelle non facilmente sintetizzabili in un paio di cartelle, nei solchi di un vinile, in una chiacchierata all'aperto davanti ad un tavolino. In questi anni, più di tutte mi ha catturato una poljarnaja zvezda, per dirla alla decabrista. Un punto di riferimento. Il nord di una bussola riflesso in un masso sul quale si abbarbica il muschio della Manifestodischi. Ogni volta che le risacche marine echeggiano nella conchiglia di "Alisachni", un aedo intesse un canto, un emigrante si mette in viaggio, una chitarra piange. Questi automatismi mi hanno portato ad approfondire un'associazione pressoché spontanea: il masso, per l'appunto. Una roccia lavica, "La Frontiera Scomparsa" di Maurizio Camardi, compenetrazione di linguaggi in un crossover chomskiano che difendeva il particolarismo alle porte della globalizzazione - un'epoca, dodici anni fa, in cui il concetto di "bordering", oggi frusto e liso, era allora fertile terreno per la fioritura di infuocati dibattiti sociali. Il jazz impegnato che abbracciava la cultura popolare e ne declinava le sterminate possibilità espressive in formae mentis flessibili e contaminate.

Limite unico di "Alisachni" è questo: il ricordare, senza troppo approfondire. Il costituire una collana di cartoline saldamente intrecciate tra loro, ma pure estremamente distinte l'una dall'altra. Difetto non vistoso, sia ben chiaro, la cui portata si livella ancor di più quando smussata dalle incredibili capacità tecniche dei Mala Hierba, mezzo formale della poliedricità di scrittura di Walter Marocchi. Importante sottolineare che il frontman e chitarrista del complesso proviene da un ambiente strettamente rock: l'approccio sanguigno cede il passo al razionalismo solo in "Apolide", Charlie Parker che spicca il volo su anatomie cool jazz in un ciclico ritornare di head e temi, per un caldo mantice di gusto e fragranza prog (altrove si citano i nostrani Perigeo: paragone ardito, ma suggestivo). Esplicativo il passo di "Trebisonda", klezmer per sei corde arabescato su doppio spessore elettrico/acustico che inavvertitamente inciampa in levare, la densa danza silvestre di "Foradada" con festoni di cornamusa arrangiati in coda o una "Il Mago Del Memè" che, prima di inerpicarsi su sovrastrutture quasi teatrali per incastro ed alternanza, riporta alla mente il pilone melodico della "Take Five" di brubeckiana memoria: la penna di Marocchi scrive elitario e parla vulgata, senza il canonico (e caotico) sdoppiamento artistico che solitamente provocano simili scissioni stilistiche.

Per mettere in discussione le frontiere, ahinoi, servono approcci culturali ben più radicali della voce di chi erra. Ma la nudità di questi bozzetti e la liricità sottesa degli "io" parlanti - in una finzione metaletteraria per cui queste individualità trovano una loro ideale corporeità - si sposa in maniera eccellente con l'articolazione del percorso musicale."

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