Christian Scott
Stretch Music
Se il jazz fosse un blocco di marmo da scolpire avremmo, semplificando molto, da una parte, artisti sopraffini nel ripetere le forme classiche levigate e dai contorni perfetti già ammirate nel passato, e dallaltra, liberi improvvisatori che creano, in base al sentire del momento, opere astratte soggette all interpretazione di chi, in un altro momento, ascolta. In una piccola nicchia ci sarebbero invece gli autori che, mescolando la solida materia della tradizione con altri materiali, magari una tempera rock, un graffito hip hop o un affresco elettronico, riescono a riempire di significato laggettivo NUOVO.
Stretch Music del trombettista trentaduenne di New Orleans Christian Scott Atunde Adjuah ,si candida ad entrare, insieme a pochi altri lavori usciti nellanno in corso (Kamasi Washington, Ibrahim Maalouf) in questa selezionata compagnia di indefinibili per meriti propri. Il jazz, ovviamente, è presente perché quello è il luogo di provenienza e di formazione di Scott e dei suoi compagni, la strumentazione in gran parte utilizzata appartiene a quel contesto, ma lo spirito che pervade la musica distesa, la varietà di climi ed atmosfere sonore e linclusione naturale dellelettronica anche in funzione ritmica, sparano i contenuti in mille direzioni diverse. Tutto meno che la canonica esposizione del tema, assoli dei singoli strumenti e ripresa finale del tema che si ritrova in migliaia di opere classificate alla casella (neo)bop. Il nostro scopo spiega Scott- è di ampliare, non sostituire, le convenzioni melodiche, armoniche e ritmiche del jazz per ricomprendere quante più culture, forme e linguaggi possibili. Ecco quindi spiegata la ritmica marcatamente drum nbass che introduce, con notevole effetto di spaesamento, Sunrise in Bejjing, attraversata da cima a fondo da un inarrestabile solo del flauto, o il twanging della chitarra elettrica che ci immerge nelle atmosfere notturne e cinematografiche di West of the west, prima di dare vita ad un irresistibile jam session degna del Miles Davis elettrico, o ancora i leggiadri richiami world di Liberation over gangsterism.
Il flusso musicale è inarrestabile, denso e dinamico, dominato dalle lunghe e penetranti note della tromba di Scott, dalle pirotecniche fughe del flauto di Elena Pinderhughes, e dalla esuberante carica ritmica di ben due batteristi, Corey Fonville e Joe Dyson Jr, divisi fra tamburi tribali e pad elettronici. Nel crogiuolo del disco bollono sapori latin restituiti con sobria esultanza, ( TWIN), le articolate linee tematiche blue di A new cool, quiete sincopi trip hop ( Premonition), i fondali elettronici che incorniciano il lirico tema di Tantric, e lo scorrere liquido di The last Chieftain, nel quale la tromba sembra seguire orme già tracciate dalla chitarra di Pat Metheny. Il distonico ritmo dei due minuti finali di The horizon, piano, tastiere e sole percussioni, fa il paio con la claudicante cadenza di The corner nel suggellare un lavoro che, anche nelle miniature, è imprevedibile e ricco di sorprese.
Dopo Stretch Music, sarà appassionante tendere allorizzonte che Scott ci ha fatto intravvedere, correndo a perdifiato lungo la sua new direction.
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