R Recensione

8/10

Christian Scott

Stretch Music

Se il jazz fosse un blocco di marmo da scolpire avremmo, semplificando molto, da una parte, artisti sopraffini nel ripetere le forme classiche levigate e dai contorni perfetti già ammirate nel passato, e dall’altra, liberi improvvisatori che creano, in base al sentire del momento, opere astratte soggette all’ interpretazione di chi, in un altro momento, ascolta. In una piccola nicchia ci sarebbero invece gli autori che, mescolando la solida materia della tradizione con altri materiali, magari una tempera rock, un graffito hip hop o un affresco elettronico, riescono a riempire di significato l’aggettivo NUOVO.

Stretch Music” del trombettista trentaduenne di New Orleans Christian Scott Atunde Adjuah ,si candida ad entrare, insieme a pochi altri lavori  usciti nell’anno in corso (Kamasi Washington, Ibrahim Maalouf) in questa selezionata compagnia di indefinibili per meriti propri. Il jazz, ovviamente, è presente perché quello è il  luogo di provenienza e di formazione di Scott e dei suoi compagni, la strumentazione in gran parte utilizzata appartiene a quel contesto, ma lo spirito che pervade la “musica distesa”, la varietà di climi ed atmosfere sonore e l’inclusione naturale dell’elettronica anche in funzione ritmica, sparano i contenuti  in mille direzioni diverse. Tutto meno che la canonica esposizione del tema, assoli dei singoli strumenti e ripresa finale del tema che si ritrova in migliaia di opere classificate alla casella (neo)bop. “Il nostro scopo – spiega Scott- è di ampliare, non sostituire, le convenzioni melodiche, armoniche e ritmiche del jazz per ricomprendere quante più culture, forme e linguaggi possibili”. Ecco quindi spiegata la ritmica marcatamente drum n’bass che introduce, con notevole effetto di spaesamento, “Sunrise in Bejjing”, attraversata da cima a fondo da un inarrestabile solo del flauto, o il twanging della chitarra elettrica che ci immerge nelle atmosfere notturne e cinematografiche di “West of the west”, prima di dare vita ad un irresistibile jam session degna del Miles Davis elettrico, o ancora i leggiadri richiami world di “Liberation over gangsterism”.

Il flusso musicale è inarrestabile, denso e dinamico, dominato dalle lunghe e penetranti note della tromba di Scott, dalle pirotecniche fughe del flauto di  Elena Pinderhughes,  e dalla esuberante carica ritmica di ben due batteristi, Corey Fonville e  Joe Dyson Jr, divisi fra  tamburi tribali e pad elettronici. Nel crogiuolo del disco bollono sapori latin restituiti con sobria esultanza, ( “TWIN”), le articolate linee tematiche blue di “A new cool”, quiete sincopi trip hop ( “Premonition”), i fondali elettronici che incorniciano il lirico tema di “Tantric”, e lo scorrere liquido di  “The last Chieftain”, nel quale la tromba sembra seguire orme già tracciate dalla chitarra di Pat Metheny. Il distonico ritmo dei due minuti finali di “The horizon”, piano, tastiere e sole percussioni, fa il paio con la claudicante cadenza di “The corner” nel  suggellare un lavoro  che, anche nelle miniature, è imprevedibile e ricco di  sorprese.

Dopo “Stretch Music”, sarà appassionante tendere all’orizzonte che Scott ci ha fatto intravvedere, correndo a perdifiato lungo  la sua “new direction”.

V Voti

Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 6 voti.
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B-B-B 8/10
sanciutti 8,5/10

C Commenti

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Paolo Nuzzi alle 8:54 del 17 dicembre 2015 ha scritto:

Ustia, tocca segnarselo e recuperare immantinente. Quante cose in questo 2015!

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 14:27 del 17 dicembre 2015 ha scritto:

Bella recensione. Lui lo conosco ma questo disco no, recupero al volo anche io!

sanciutti (ha votato 8,5 questo disco) alle 15:36 del 27 settembre 2017 ha scritto:

Disco bellissimo e bella recensione!