Frank Zappa
Hot Rats
Davvero un bel disco, questa seconda fatica del '69 da parte di Frank Zappa. Non così grande come dicono alcuni, probabilmente. Forse non mozzafiato, rivoluzionario, sconvolgente, innovativo ma mai così sperimentale come di solito lo si presenta. Weasels Ripped My Flesh è sperimentale, ed è in gran parte mediocre. Lumpy Gravy beh, avrete capito lantifona. Hot Rats è la prova (e non la prima) che quando voleva, Frank sapeva bilanciare perfettamente lo sperimentalismo col piacere dellascolto: qualcosa che manca spesso nei suoi lavori più folli.
È un disco per lo più strumentale (lunica parte cantata è quella di Captain Beefheart in Willie The Pimp), ma, credeteci o no, è perfettamente godibile e solido anche come musica da sottofondo (sempre che abbiate il coraggio di ascoltarlo in questa veste). Dicevamo dei lati innovativi: il fatto che ci siano ottoni in abbondanza non è esattamente la garanzia che quello che si sta ascoltando è un disco jazz, e io ho sempre pensato che le armonie e i ritmi di questo disco appartengano piuttosto al territorio rock nel qual caso, possiamo probabilmente affermare che siamo di fronte a uno dei primi significativi esempi di quella che sarà chiamata fusion.
Notate anche che il disco non è attribuito alle Mothers: è un progetto ufficialmente solista, e la sua inedita e ragionata compattezza (in contrapposizione ai vecchi capolavori delle stupid songs) ha forse a che fare proprio col fatto che Frank non stava bighellonando con la sua solita squadra di muli (lo dico con affetto). Perciò, se riuscite a sopportare quarantacinque tediosi minuti di fusion, Hot Rats potrebbe essere la perfetta introduzione alla versatilità musicale di Frank; potete ascoltare lalbum senza che i suoi maggiori difetti vi disgustino.
Un difetto strutturale: solo sei tracce, tre delle quali, durando più di otto minuti, occupano gran parte del disco. E quegli otto minuti non sono mai sviluppati da Frank (fortuna o sfortuna? Io propendo per la seconda) col suo vecchio, gustoso giochetto: quello di spararti davanti agli occhi frammenti di un milione di temi musicali come dei flash, così che non riesci quasi a concentrarti su quale stia suonando al momento. Ognuno di quegli otto minuti, qui, si prende il tempo e lo spazio necessario ad essere sviluppato e accompagnato alla sua conclusione naturale. E negli altri casi, quando questo non accade, Frank struttura tutte le esperienze multi-sezione in maniera quasi sempre abilissima. Liniziale Peaches En Regalia, uno dei suoi marchi di fabbrica, lo dimostra brillantemente: una breve overture di quasi quattro minuti che alterna una dozzina di temi differenti che variano dal jazz puro (uso estensivo degli ottoni) al folk (flauto e chitarra acustica). Il tema principale è in quella stessa vena di jazz bambinesco che rendeva i primi album delle Mothers così irresistibili: quindi non posso proprio non amarlo.
Willie the Pimp (laltro apice del disco) è basata su un rauco riff hard rock suonato allunisono con il violino di Sugar Cane Harris e il cantato schizofrenico di Captain B., ma dopo qualche minuto viene dirottata in un infuocato tour-de-force solista: Frank strangola la sua chitarra e si rifiuta di smettere o di concedere un secondo di riposo dal suo diluvio di note sparate a raffica senza neanche cambiare chiave (almeno credo), ma solo direzione melodica, per circa sette minuti. Eh.
Non credo di poter descrivere le altre tracce così specificatamente, se pure lo volessi. Le due più brevi sono anche le più deboli: troppo corte (relativamente: It Must Be A Camel si trascina per cinque minuti) per essere davvero capite ed assimilate, o troppo lunghe per non far pesare la povertà di spunti interessanti? Daltra parte Son Of Mr Green Geenes ritorna alle atmosfere jazz e contiene altro eccellente materiale chitarristico, e The Gumbo Variations è quasi danzabile, con quel suo basso disco, e contiene altro visionario materiale di un violino alla ribalta.
Qualcuno potrebbe trovare gli assoli un po pedanti: io penso che invece salvino davvero questalbum. Preferirei ascoltare un intenso, elettrizzante assolo piuttosto che una sezione ritmica mediocre che si trascina per troppo tempo. Non che qui la sezione ritmica sia male, anzi. La band suona in modo rinfrescante e vigoroso, e in generale lalbum è molto più interessante e innovativo degli album concettuali di jazz del 72 come lo stesso The Grand Wazoo.
Alla fine, il primo esempio della fase orchestrale di Frank Zappa potrà incantare alcuni, annoiare altri. La sua visione della fusion consiste essenzialmente nell incorporare in un ambiente rock lelemento di improvvisazione libera del jazz, qualcosa di abbastanza diverso da quello che stavano facendo nel frattempo le altre jam bands di San Francisco. E al netto di ogni gusto individuale, gli schemi tracciati in questalbum sono ancora presenti nei lavori di John Zorn, Bill Frisell, persino nel chitarrismo di Al Di Meola. Le partiture di questo disco hanno portato suoni rock e scrittura sinfonica in diretta collisione con lideologia fusion, e per quanto mi riguarda questo basta a meritargli la mia personale acclamazione.
Magari non un amore incondizionato, ma per quello cè sempre Freak Out!, no?
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