Dinner Party
Dinner Party [EP]
Cambiano velocemente i tempi, molto più velocemente di quanto ci si renda effettivamente conto. Se pensiamo ai promotori e agli artefici del processo di riappropriazione popolare del jazz contemporaneo sullasse New York-Chicago, due dei nomi che non possono non saltare alla mente sono il Robert Glasper di Black Radio (2012) e il Kamasi Washington di The Epic (2015): vale a dire due quarti del supergruppo Dinner Party, sorta di convitato di pietra del jazz-hop statunitense la cui effettiva materializzazione, concretizzatasi appena lo scorso autunno, costituisce lultima fase di un sotterraneo processo di what ifs e just think about that. Supergruppo, dicevamo, perché la seconda metà della formazione, quella più attiva nel processo di scrittura dellomonimo EP desordio, vede completarsi nientemeno che con Terrace Martin e Patrick Douthit aka 9th Wonder: il primo co-ideatore dellembrione del progetto e trait dunion fra i vari membri, il secondo collaboratore fidato di Glasper e firma dietro lossatura ritmica su cui gli altri strumentisti sono stati lasciati liberi di spaziare. E supergruppo anche, se si vuole, perché animato da una precisa visione estetica e politica: un disco volutamente sintetico, semplice, rilassato, in fieri, in cui lascoltatore sia libero di immaginare a proprio piacimento ciò che ancora non cè e in cui la tenuità delle tinte contrasti con lesplicito verismo del messaggio lirico, incentrato sul rinascimento identitario della comunità nera contro la postrema recrudescenza della reazione razzista.
Cambiano velocemente i tempi, perché, nonostante le premesse, ciò che sino a qualche anno fa poteva essere lEldorado della black music oggi, alla luce delle nuove conquiste e dei coraggiosi esperimenti provenienti da ogni parte del mondo (in primis da Oltremanica), si scopre in tutta la sua sostanziale inconsistenza. Piuttosto spuntato, per iniziare, è contributo vocale del chicagoano Phoelix a quattro dei sette brani in scaletta. Eccezion fatta per il bel formato pop di Sleepless Nights, in cui fanno capolino le classiche, romantiche progressioni dellultimo Kamasi, il singolo Freeze Tag è un luccicante soul monodimensionale, costruito sulliterazione indefinita di una minima frase melodica e infarcito di sample retrofuturistici, in cui il ficcante testo (They told me put my hands up behind my head / I think they got the wrong one / Im sick and tired of runnin) viene cantilenato a mo di refrain espanso, senza grosse variazioni. Non esattamente entusiasmante è anche la costruzione degli sviluppi armonici: Love You Bad spreca linteressante battuta pianistica di Glasper in controtempo sul beat di 9th Wonder in una minimale cartolina funk-hop senza nerbo, mentre From My Heart And My Soul sembra uscita da una mediocre produzione hip hop a cavallo dei millenni. In altri tempi si sarebbe parlato di mancanza di idee e, a dire il vero, non molte altre impressioni genera il successivo ascolto delle strumentali, vero tallone dAchille del combo: tra soffici e mai invadenti fraseggi post-bop, scratch, spiriti di archi sintetici e cori sovraesposti First Responders si chiude nel nulla, mentre The Mighty Tree sax filtrati, unarpa mccraveniana sullo sfondo, un beat pulsante a dare il ritmo alla narrazione fa solamente intravedere il potenziale della band a pieno carico.
Poi, è chiaro, de gustibus non disputandum est. Ma nel pieno della rivoluzione sociologica che vede nel jazz contemporaneo uno dei suoi arieti di punta, limitarsi ad un singolino scritto col pilota automatico come LUV U ci sembra, francamente, unoccasione sprecata.
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