John Coltrane
A Love Supreme
Recensire un disco non è mai impresa tanto facile.
Figuriamoci recensire una leggenda: perché questo, in fin dei conti, è A Love Supreme.
Il capolavoro di John Coltrane (almeno a detta dei più, e personalmente sottoscrivo) è infatti un disco universalmente noto e celebrato (non credo di aver mai letto una parola storta al riguardo), un disco di grande successo anche commerciale e da sempre sulla bocca di esperti, appassionati, cultori e chi più ne ha più ne metta...
E allora, inevitabilmente, prendo spunto dalla mia personalissima esperienza: anche perchè un disco del genere ha meritato analisi, valutazioni e persino interi libri di testo ben più meritevoli della piccola recensione del sottoscritto, e non è mia intenzione tediarvi riciclando all'infinito nozioni e considerazioni che potete tranquillamente acquisire altrove.
Ho scoperto A Love Supreme la primavera di alcuni anni fa: sino a quel momento, sapevo poco-nulla di jazz ed ancor meno me ne importava; per di più, conoscevo Coltrane giusto perchè universalmente noto come fuoriclasse del sax tenore, ma non mi ero mai posto il problema di approfondire la sua arte.
Per fortuna, bastarono un paio di ascolti a suscitare prima stupore e quindi interesse, meraviglia. Infine amore incondizionato per quella che rimane ancora oggi una fra le stelle polari del mio universo musicale.
Poteva la mia vita essere la stessa, dopo un simile shock?
No di certo: e credo di non essere l'unico ad aver trovato nell'Amore Supremo un punto di svolta chiave della propria esperienza di musicofilo (fosse anche solo per la fama del disco, che ha pure il merito di portare per mano molti ascoltatori dentro l'affascinante universo jazz).
Amore Supremo, dicevamo: quello che in fondo è non solo il titolo, ma anche il tema cardine attorno al quale è imperniato il discorso di Coltrane.
L'amore come forma di celebrazione e di ringraziamento, l'amore come punto di approdo, come ancora di salvataggio. Il cui raggiungimento, tuttavia, esige uno sforzo enorme: Trane ci racconta che l'Amore Supremo è figlio della sofferenza più intima, che si nutre di molti ieri ma che guarda oltre, alle potenzialità infinite del futuro.
L'Amore Supremo è anche l'estasi pura che ti fa gridare di gioia, o forse, più semplicemente, è la pace, la serenità, la redenzione, la consapevolezza del proprio essere.
In definitiva, l'Amore Supremo è l'ultima tappa di un lungo percorso, che qui si snoda metaforicamente in una lunga suite composta da quattro movimenti, tutti di un'eccellenza che non teme confronti, tutti di un'intensità tale che ti stringe il cuore e non lo molla sino all'ultimo istante.
Il merito (senza nulla togliere alla grandezza dei collaboratori, primo fra tutti il pianista McCoy Tyner, che scriverà pagine importanti anche come band leader) è quasi esclusivamente da attribuirsi alla voce strumentale unica e imitatissima, ma di fatto inimitabile: quella del sassofono tenore di Coltrane.
Uno strumento che in questo disco regala forse i frutti più belli di tutta una carriera (o quantomeno della sua fase modale), e chiude nel migliore dei modi un cammino umano e creativo complesso che sfocia in un suono impetuoso, caldissimo, denso e corposo, molto pulito eppure capace di frustate che lasciano il segno.
La grandezza di Trane sta nei suoi impressionanti fraseggi (la lezione di Parker viene riletta in chiave moderna e più aggressiva), che sondano lo spazio alla velocità della luce, ma anche nella assoluta mancanza di limiti: Trane, di fatto, è quanto di più vicino al concetto di stream of consciousness possiate incontrare, in ambito jazz.
Abbatte ogni barriera, frantuma ogni steccato: è un artista debordante, quasi logorroico, pervaso da un'energia di stampo mistico che pare inesauribile (il che stride con la assoluta pacatezza dell'uomo, lontano dallo stereotipo dell'artista maledetto).
John dice sempre tutto ciò che ha in testa: non conosce freni inibitori, non esercita un controllo rigoroso sulla propria arte. La sua è una creatività illuminata, che dimentica grazia, compostezza, sapienza ed equilibrio (tutti concetti cari ai musicisti occidentali), e si mette alla ricerca del sublime (ecco che torna l'idea del percorso, del cammino).
Tutti concetti, questi, che trovano in A Love Supreme la loro espressione più candida e brillante.
Quattro movimenti, dicevamo: ed ognuno merita un discorso a sé stante.
Acknowledgement si fonda sulla ripetizione del mantra (costruito su tre note ascedenti) a love supreme (che la voce di Trane sussurra nel finale), e mette subito in chiaro le cose: Coltrane vuole portare ai limiti la sua concezione totalizzante della musica, scherza con tutte le tonalità (e quindi con nessuna), sbalordice l'ascoltatore reinventando all'infinito un tema di estrema semplicità, che sposta secondo l'istinto del momento verso toni ora più gravi e pensosi ora più leggeri e celestiali. Sempre con voce corposa e solenne, enfatica, piena, conclusa (Trane era notoriamente un grande appassionato di matematica, e ricercava la perfezione della circolarità proprio nella relazione fra le singole cellule sonore, per elaborare un discorso potenzialmente illimitato).
Il territorio di caccia è sempre quello del jazz modale, anche se si intravede all'orizzonte lo spettro del free jazz (abbracciato senza remore, tuttavia, soltanto nel successivo Ascension).
Trane mette in cantina le catene della tonalità e tutti i vincoli della musica scritta occidentale, e guarda oltre, verso la staticità armonica e l'impressionismo della musica orientale (che diverrà un must, dopo le sue performance), e soprattutto, sfruttando il "modo" di ogni singola scala, ricava da temi relativamente semplici una gamma di soluzioni potenzialmente infinita.
Resolution è il frutto di una decisone sofferta, di quel frammisto di timore e determinazione che sempre ci accompagna verso i grandi cambiamenti. Trane è consapevole della propria condizione e dei propri limiti, ma è deciso a cambiare. Le scelte stilistiche ricalcano le intuizioni del brano introduttivo, portando di fatto a pieno compimento le novità risalenti all'epoca di My Favourite Things. Anche qui una piccola cellula sonora diventa paesaggio per scorribande senza fine, diventa il territorio ove la fantasia del musicista può esprimersi nella più assoluta libertà, circondata dalla ammirata contemplazione dei colleghi, che vi intravedono una forma di energia quasi innaturale.
Trane scava a fondo, esplora sino allo spasmo le note e il suono, la sua musica si avvicina al chaos, lo lambisce, ma conserva una struttura (per quanto gracie, scheletrica) di rifermento, una tensione di fondo che rede il suo discorso di grande coerenza.
Pursuance è un traguardo morale, e anche formale: il brano impressiona ancora oggi, perché incastra un tema immortale e ricchissimo di sfumature, gravido i suoni irrisolti, grugniti, asperità (incredibili certi passaggi, specie sotto il profilo ritmico) fra la performance eccellente del batterista (Elvis Jones) e un lungo solo di contrabbasso (Jimmy Garrison) che porta quiete, soddisfazione, percezione della grandezza e della maestosità di dio (di qualuque dio si tratti).
Psalm è la miglior preghiera pagana che vi possa capitare di incontrare in un disco: di fatto è la lettura (con il sax tenore!) di un'invocazione a dio, e si snoda lungo un testo che pare uscire direttamente da una qualsiasi chiesa di New Orleans.
Psalm è un solenne, dolcissimo e caloroso ringraziamento al proprio dio, per il traguardo raggiunto (la pace, la consapevolezza).
Qui Coltrane getta la maschera ed esprime tutto il proprio misticismo: misticismo che ha chiare ascendenze di stampo cristiano, ma che guarda inevitabilmente anche alla tradizione afro-americana e alle religioni orientali, in una visione che abbraccia e racchiude molti fra i maggiori motivi culturali dell'America alternativa anni '60.
Ad ogni modo, si tratta di un brano di bellezza spiazzante, forse del momento più emozionante di tutta la carriera del genio; emozionante, ecco trovata la parola chiave.
Perché alla fine, dopo i sette minuti abbondanti di Psalm, quel che rimane è l'impressone di aver assistito a un evento storico, a uno degli attimi più alti ed immacolati della propria vita di ascoltatore.
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