R Recensione

7/10

Christian Prommer

Christian Prommer's Drumlesson, Vol. 1

Sulla lapide del nu-jazz, fugace deriva jazzistica della downtempo tardi anni '90 sembrano comparire, timidamente, i primi germogli: nuovi sbocchi per il flirt tra l'instancabile emisfero dell'elettronica e l'austera cortina del jazz si affacciano all'orizzonte.

Queste Drumlessons, firmate da quel Christian Prommer che con la coppia Rainer Trüby-Roland Appel e sotto la sigla Trüby Trio aveva siglato per la Compost alcune delle pagine più luminose di quella stagione, ne sono una delle possibili derive. A ruoli invertiti, però.

Perchè laddove nel nu-jazz una downtempo bulimica procedeva incessante nel campionamento di vecchie tracce jazz, qui avviene esattamente il contrario: il jazz fagocita e risputa riletture di classici dell'elettronica, restituendo a nuova vita pezzi persi nelle polverose pagine della storia della musica (non solo) dance.

La passerella di brani è da antologia, la reinterpretazione magistrale: il classico House Can You Feel It portato alla ribalta da Mr. Fingers, si svincola dagli anacronismi di produzione che fanno dell'ascolto dell'originale un'esperienza illuminante ma archeologica, e si libra maestosa cavalcando un vulcanico trio piano-contrabbasso-batteria.

La protoelettronica pionieristica di Trans Europe Express non perde un grammo della sua verve e del suo fascino originario e trasporta le sue psicosi incubanti e post-espressioniste nelle sale fumose di un night club (perdonate il clichè).

C'è anche spazio per esperienze più recenti come la Elle deep house del blasonato Dj Gregory che si riscopre calda e meditabonda, mentre Plastic Dreams si scorda le sue origini breakbeat e assume l'incedere aristocratico di una nuova Take Five, con tanto di immaginario Dave Brubeck a salutare dal palco.

Ed è sorprendente scoprire un Prommer inarrestabile e ardito aggredire armato di sola strumentazione jazz le derive acide della Higher State Of Consciousness fimata Wink: l'effetto è straniante e a tratti un pò goffo, ma comunque affascinante.

Eccezionale il connubio col classico techno Strings Of Life (Rhythim Is Rhythim aka Derrick May) rinvigorita dalla sua resurrezione “organica” e sublimata nelle sue venature latin, le stesse che rivestono con uno strato vellutato la Beau Mot Plage di Monsieur Isolee e che non possono mancare in una rilettura di Nervous Track dei padri del Nuyorican Soul Masters At Work.

Finale col botto di un disco che, seppur viziato dal sottile pregiudizio che tocca inesorabilmente i dischi di cover e da quello, ben più esplicito, che ricade sui cosidetti dischi “da bar”, sbaraglia i malpensanti con la forza di un'idea originale sviluppata e portata a compimento nel migliore dei modi.

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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REBBY 5/10

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