V Video

R Recensione

7,5/10

Bilal

A Love Surreal

La prima notizia, a suo modo sorprendente, riguarda i tempi di registrazione, protrattisi per soli cinque mesi in luogo dei tre anni ai quali il nostro ci aveva abituato. Evidentemente la chemistry con i musicisti, quasi tutti già coinvolti nella creazione di “Airtight's Revenge” e spina dorsale dell'ultimo tour, è stata tale per cui ogni cosa si è svolta nel modo più rapido e indolore possibile. Rilassatezza che si percepisce fra i solchi, magnificati da una resa sonora al technicolor, “serviti” sul velluto rosso del desiderio. Stavolta l'intenzione era di confezionare un album “for the ladies”, qualcosa come il suo “Let's Get It on” (Marvin Gaye) ma messo a bagno in un clima surreale (“Volevo fare musica che suonasse come un dipinto di Dalì” dice Bilal) e dagli effetti vagamente chill-out. Via quindi l'urgenza espressiva, la tensione strisciante che attraversava da un capo all'altro il precedente (capo)lavoro: largo a brani più dilatati a susseguirsi in stile suite, sintesi e rielaborazione di movenze smooth e campionario art-pop '70s.

Gli ammiccamenti a Shuggie Otis si avvertono sin dall'Intro, trovano subdola conferma nella trasfigurazione West Coast di Lost For Now, per poi ammaliare quando, nella lounge astrale Right At The Core (divina collaborazione con la pianista/songwriter/produttrice Paris Strother), le nuvolette rosee di synth colorano il cielo e fanno salire un groppo alla gola. Altro parallelismo inedito è quello coi Rotary Connection, leggendario collettivo psych-soul di Chicago in attività dal '66 al '74 la cui impronta è ben distinguibile in Climbing o in Never Be The Same, dove Mr. Oliver sembra addirittura tuffarsi nel sound a metà fra Burt Bacharach e Chicago Soul che lo stesso Charles Stepney architettò, nel lontano 1970, per “Come In My Garden” di Minnie Riperton.

Com'è consuetudine con Bilal, il referente non è che pretesto per instaurare un dialogo con l'ascoltatore, fornirgli un appiglio, dimostrargli quanto è consistente il divario tra la fonte e la persona che si palesa tramite una scrittura sghemba, ricercata, ancora sorprendente. E di sorprese questo disco ne ha tante: il mid-tempo Astray fra staccato soul-rock, tentazioni orchestrali, la malinconia di un ritornello con licenza di uccidere; il funk dal retrogusto “synth” del primo singolo Back To Love, con quell'indimenticabile linea di batteria che fa di sei colpi di grancassa i protagonisti assoluti; il “meta-soul” di Winning Hand, ciclico accavallarsi di intrusioni sonore su ritmo-scheletro + chorus asimmetrico che esalta e disorienta.

Infine tre lenti, tutti peculiari. Il primo, Slipping Away, riporta in vita il corpo del nu-soul grazie all'appiglio prog, trasfigurandolo nelle armonizzazioni e garantendogli la permanenza in un limbo “operistico” che non ha ancora nome. Longing And Waiting si crogiola nella paesaggistica “aliena” risultante dall'iterazione fra chitarre (l'una pulita e arpeggiata, l'altra distorta e “riffosa”), tastiere alla Japan e beat interlocutorio, in ultimo precipitando nell'inquietudine free-form del finale. Le progressioni jazz della meditativa Butterfly si fregiano della presenza del pianista Robert Glasper, e vedono Bilal confermarsi maestro di trasformismo: il canto ora androgino, ora virile, ora pigro e denso di armonici nascosti, “solleva” la musica come piuma, accompagnando moog e chitarra nelle esplorazioni di un corpo celeste.

In mezzo a tanto ben di dio, passi falsi come la stanca West Side Girl e The Flow (R&B dai tratti avveniristici che però non convince, e per di più risulta fuori contesto) passano sì in secondo piano, ma se sommati a certe lungaggini di troppo che affiorano qua e là durante l'ascolto, portano ad abbassare di mezzo punto il giudizio finale. Non si fraintenda, però: “A Love Surreal” resta un successo, opera più tradizionale - ma non per questo tradizionalista - che ribadisce la caratura di un artista il quale ha fatto della ricerca il suo credo. Un artista che si meriterebbe ben più di un 19° piazzamento R&B (103° nella chart generalista: risultati appena più confortanti di quelli raggiunti da “Airtight's Revenge”), ma che ancora paga lo scotto di una carriera gestita forse con troppa scioltezza (tre soli album in tredici anni) e, soprattutto, di una congiuntura sfavorevole per gran parte dei musicisti di area nu-soul. Un artista, scontato ribadirlo, assolutamente unico.

V Voti

Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 4 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
Cas 7,5/10

C Commenti

Ci sono 5 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 11:13 del 8 aprile 2013 ha scritto:

Che dolce "Astray"... Procurati entrambi. Ora il problema è decidere se iniziare col più bello o col più nuovo... So' problemi, questi, eh!

loson, autore, alle 14:27 del 8 aprile 2013 ha scritto:

Eheh, proprio... Forse quest'ultimo è più nelle tue corde, Sal, ma non mi lasciare indietro Airtight's Revenge perchè a lungo termine dà soddisfazioni sprupurzionat'.

Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:47 del 9 aprile 2013 ha scritto:

un Bilal che stupisce, sebbene lo faccia abbassando un poco il tiro rispetto al glorioso predecessore (in particolare a causa -a mio parere- dei lenti centrali, che spezzano il ritmo). Incursioni classiche (Never Be the Same ricorda l'Hendrix "souleggiante" di Axis Bold as Love), rimandi a D'Angelo (Winning Hand), ai Radiohead (The Flow) e più in generale alla (solita) commistione di generi. Una bella tavolozza variopinta, con vari colpi da maestro (il singolone Back to Love, l'astratta Butterfly).... Condivido il voto.

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 17:40 del 11 luglio 2013 ha scritto:

Bello, sofisticato e... setoso! Ora passo a "Airtight's Revenge"!

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 10:26 del 20 luglio 2013 ha scritto:

Non vale il precedente, sono d'accordo. Ma avercene di lavori fatti così.