R Recensione

8/10

Erykah Badu

The New Amerykah Part 1 (4th World War)

La regina d’Africa è tornata. Con nobile e magnanima disinvoltura ha sfilato lo scettro del nu-soul dalle mani di una delle tante Miss America usurpatrici, concedendo ad una platea sterminata di sudditi fedeli il privilegio di ascoltare di nuovo la sua voce. Buffa, sexy, scapigliata, appuntita, flessuosa, melodica, miagolante, rampante, ruscellante. Grazie ad un disco nuovo che, col senno del poi, è fin troppo facile rileggere come una sorta di profezia: la nuova Erykah, la nuova America, Obama, in questo dicembre carico come non mai di dubbi e di speranze, sembra l’enigmatico ed enigmistico scioglimento degli epigrammi d’un oracolo. Molte le cose in comune: entrambi afro-americani dalla pelle chiara (si, lo so, così non fa più tanto ridere, vero signor Presidente?), entrambi cresciuti con la nonna, entrambi legati al mondo arabo ma senza essere succubi del fanatismo, anzi, predicando buon senso, entrambi nuovi americani di successo, due che ce l’hanno fatta alle loro condizioni.

Ennesima consacrazione di quella che può essere ormai annoverata fra i più grandi autori soul contemporanei, fianco a fianco a gente come Maxwell, la divina Lauryn Hill e il “soul man” per eccellenza, D’Angelo, The New Amerikah part 1 (4th World War), compendia con ineguagliata efficacia lo stile della Badu azzeccando un’ elastica quadratura hip-hop (già nella matrice di album come Baduizm e Mama’s Gun) alla vena sperimentale del suo predecessore (il mega ep Worldwide Underground) ormai vecchio di cinque anni. Erykah taglia e cuce come in un patchwork elettronico, cita salmi strumentali dalla sacra Bibbia della musica nera, li orienta in un concept di vibrazioni cinematiche e semiautobiografiche (col raccordo di tecniche tipicamente hip hop come lo skit, il vocal, il sample), saggia la resistenza della sua forma-canzone, ne plasma i contorni in un flusso di coscienza che fa spesso e volentieri a meno dei ritornelli ma non perde nulla in freschezza e riconoscibilità.

Con l’ironica e ammiccante Amerikahn Promise apre la sua sexy campagna elettorale: intro da blackexploitation, cut up di sketch e voci ritmato su una base disco-funk con staccati di chitarra e fiati in evidenza e back vocals che ironizzano sulla “disponibilità” audiovisiva con cui molte “colleghe” hanno costruito la loro fortuna (“Promise i’ll give you things that you can’t buy / (…) i’ll give you my lips, i’ll give my tongue, i’ll give you my thighs/ damn near anything you want”).

Con la superba The Healer allestisce una messa hip-hop di grande suggestione e spiritualità (“it’s bigger than religion, hip-hop”) fra sonagli zen, wormholes di bassi, gorgheggi da opera cinese e agrodolci riverberi psichedelici. Con Me, un soul-jazz onirico ed atmosferico, ci svela il retroscena dei suoi cinque anni di inattività, un travaglio di sconforto, stanchezza e speranza (“This year i turned 36/ Damn it seems i came so quick/ My ass and legs have gotten thick/ It’s all me” tanto per ribadire che mettersi a competere con le Rihanna di turno è tempo perso e chi vuole può tranquillamente abbeverarsi ad altra più facile fonte), prima stemperare il pezzo in uno scherzo scat per voce e tromba.

My People è una meraviglia di synth soul e rap metronomico striato di velature glitch e aerei nembi vocali. Soldier è una sublime predica contro la guerra e la criminalità pronunciata in tutta la sua smagliante ed incantatrice forma melodica sopra un battito oldschool da manuale, armonie corali e volute di flauto traverso. The Cell una danza funky, sintetica e sincopata con Erykah che chioccia, seduce, mesmerizza. Quindi rilancia con brani ancora più ambiziosi e ricercati: Twinkle, un’aria dubstep chiazzata di glitch, riverberi, intrighi vocali spasmodici e rarefatti che , nel finale, affoga la sua frenesia nei cerchi di una stasi dronico-ambientale; Master Teacher cala il soul in un bagno dub con archi in sottofondo e call and response tra fraseggi rap e cori gospel poi dopo una breve dissolvenza riprende in puro Tamla Sound anni ’70 per organo e ricami glitch in filigrana; That Hump ne mutua la struttura: impianto dub/soul, echi di theremin, atmosfera sospesa fra romanticismo e psichedelia, poi nuova dissolvenza e ripresa vintage come un classico black orchestrale di più di trent’anni fa. L’estesa Telephone è un brano lounge-soul che diluisce il suo portamento confidenziale in un rarefatto arrangiamento d’ambiente.

Poi dopo i titoli di coda (una breve ripresa del tema di Amerikahn Promise che, come una specie di trailer, preannuncia l’avvento d’un secondo capitolo), quando fortunatamente è già troppo tardi per cambiare idea su questo disco, piomba il pezzo più scontato, la preannunciata Honey, l’unico vero singolo nu soul del lotto.

Tra i primi dieci del 2008? Yes We Can.

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 8 voti.
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rael 5/10
loson 8/10
REBBY 5/10
cielo 7/10
plaster 7,5/10

C Commenti

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TheManMachine (ha votato 9 questo disco) alle 15:49 del 6 dicembre 2008 ha scritto:

Ahh, che bello questo disco.. Anche per me sicuramente tra i primi dieci del 2008, e forse tra i primi cinque. Grazie Simone per averlo recensito, non ci speravo più

enribell (ha votato 8 questo disco) alle 15:52 del 9 dicembre 2008 ha scritto:

Grande Erykah!!!

Bel disco, indubbiamente più bello dell'ultimo fatto 4 anni fa (quasi una ciofeca), certo che le sonorità del primo album e del secondo mi sa che non li risentiremo più, anche se un pò ci ha provato. Non credo che sia proprio tra i migliori album dell'anno, anche se in effetti è molto bello.

Anche se dal vivo non prendono molto....

loson (ha votato 8 questo disco) alle 14:49 del 16 dicembre 2008 ha scritto:

Spiazzante. Probabilmente l'album nu-soul più complesso (sia dal punto di vista produttivo che compositivo) dai tempi del "Voodoo" di Sua Maestà D'Angelo. Devo ancora inquadrarlo per bene, ma ci sono tutti i numeri perchè diventi un 8. Ah, non ha quasi più senso farti i complimenti Simo (dove la si trova una penna raffinata come la tua? Dove, dico io?), ma te li faccio lo stesso, chè sono un toccasana per l'anima. Yo, brotha!

simone coacci, autore, alle 17:37 del 16 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

Ah ah, wow lodato da Cesare, si dice in questi casi. No ti ringrazio. E sono contento che ti sia piaciuto. Yo, Bum Rush The Show!

loson (ha votato 8 questo disco) alle 0:14 del 6 gennaio 2009 ha scritto:

Opera complessa e multiforme, futuristicamente retrò nell'approcciare sonorità funk "glossy" da blackexplotation o tuffarsi a piè pari nel suono (e nella cultura) hip hop . Un sound curatissimo anche se distante dagli africanismi felini e affilati dell'insuperabile D'angelo di "Voodoo" (la pietra miliare del nu-soul a cui spesso questo "The New Amerykah" è stato paragonato), bensì gonfio di atmosfere morbosamente sci-fi, riflessi electro e tutte quelle sfumature che il buon Simone ha menzionato con acume nella recensione. Soltanto due considerazioni personali: 1) "Me", l'elegiaca "Telephone" e il gorgo pulsante di "Master Teacher" sono fra le canzoni nu-soul più emozionanti che abbia mai ascoltato e forse i vertici dell'intera carriera della Badu; 2) Le cose che mi impediscono di considerare il disco un capolavoro "senza macchia" sono quella sconcezza di "Honey" (qui retrocessa a bonus track ma resta pur sempre il primo singolo, pochi cazzi) e altri due brani assai meno osceni ma che ugualmente non mi piacciono ("Soldier", peraltro viziato da troppa retorica politichese, e "The Cell"). Resta, ad ogni modo, un disco potentissimo e un ascolto obbligato. Procuratevelo!

REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 15:55 del 8 gennaio 2009 ha scritto:

Anch'io, Bruto, lodo la tua recensione. Meno il disco. Simpatico il duetto tra Gloria Gaynor e

Barry White (Amerykahn promise). Grande Marchisio

comunque!