R Recensione

7/10

Jü & Kjetil Møster

Jü meets Møster

Nei cieli sonori della RareNoise continuano ad incrociarsi rotte imprevedibili, lungo traiettorie che uniscono in modo inedito provenienze, culture ed attitudini diverse. Dura un attimo, il tempo di un disco, al più di un breve tour, e poi i voli riprendono, per dare vita a  nuove e più ardite avventure musicali. Gli esempi nel catalogo dell’etichetta porpora ormai si sprecano: il batterista Balasz Pandi vive una carriera polivalente diviso fra le catarsi noise di Merzbow, il free jazz di Ivo Perelman ed il doom metal di Obake, gruppo che coinvolge anche Eraldo Bernocchi, cofondatore della label, il quale, a sua volta, è autore di numerose opere fra ambient e sperimentazione. Il pianista Jamie Saft lo abbiamo incontrato in almeno tre contesi diversi, dai flussi sonori in libertà di “Red Hill” con Wadada Leo Smith, alle dense atmosfere di "Plymouth", fino al capolavoro del 2014 “The New Standard”, sintesi mirabile di jazz, blues e tradizione, in compagnia autorevole di Bobby Previte e Steve Swallow.

Berserk è poi una sorta di emblema della RareNoise, portando a sintesi esponenti del jazz italiano più avventuroso (Petrella, Calcagnile, Satta e Puglisi), avanguardisti come Eevin Aarset  e Lorenzo Esposito Fornasari, ed il basso prog di Lorenzo Feliciati. “Jü Meets Kjetil Møster” si presenta quale ulteriore tassello dell’universo di contaminazioni “rare”, proponendo una unione fra il suono psycho rock del trio ungherese Ju (Àdàm Meszáros, Ernö Hock e András Halmos) con il sassofono coltraniano di Kjetil Møster, esperienze con Chick Corea, Pat Metheny, membro di  Datarock e astro in ascesa del jazz norvegese.

L’amalgama deve aver sconvolto non poco gli autori del comunicato stampa che riescono in venti righe a citare fra le influenze del disco, Hendrix, Allman Brothers, Sonny Sharrock, Led Zeppelin, Black Sabbath, senza trascurare Jan Garbarek  e Terye Rypdal, per finire con le influenze trance Gnawa del batterista. In effetti, il  progetto è una continua sorpresa e l’alleanza fra il sax di Møster e la attitudine underground di Jü funziona in modo naturale nella creazione di un magma sonoro in bilico fra concreto e visionario: si parte free jazz e si conclude con l’apocalisse noise di“One”, costruita su accumulazioni di rumore ed atmosfere estreme, e fra i due poli ci si imbatte nella matrice hard psycho che echeggia nei riff liberatori di “Dear Johann” e “Bhajan”, in una lunga meditazione chitarristica che introduce il sontuoso e cadenzato procedere di sax del tema di “Morze”, e nella geometrica intro crimsoniana di “Hassassin”, uno degli apici del disco, in cui tutti gli elementi sembrano giungere a sintesi. Indefinibile, sicuramente estremo, ma  con un fascino suo, scavato nella roccia. 

Mixa Bill Laswell, un altro che di contaminazioni vive quotidianamente.

 

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