Black Joe Lewis & The Honeybears
Scandalous
Il 2010 ha significato molto per la musica nera: pareva che ovunque spuntassero nomi vecchi e nuovi a rivitalizzare il linguaggio del soul alla luce delle diavolerie moderne, quasi a voler rilanciare una nuova età dell'oro che potesse competere (anche se solo da molto, molto lontano) con gli anni '60.
Qualche nome? La dolce londinese Rox (che si è affacciata pure su MTV), l'eclettica (quasi princeiana) Janelle Monae, la sempreverde e sempre più brava Erykah Badu, e se vogliamo pure il maestro house-soul Robert Owens, autore di uno fra i lavori più intensi, interessanti e personali dell'anno (quell'Art che non mi stancherò mai di celebrare).
Detto del 2010, veniamo all'attualità più stringente: anche il 2011, in questi primi mesi, regala un lavoro black di notevole spessore. Notevole ma soprattutto godibilissimo e fresco come l'aria mattutina in questo marzo inoltrato, per quanto imbevuto di infiniti ieri: si tratta di Scandalous, terzo LP firmato da Black Joe Lewis & The Honeybears (ovvero: da una delle band più interessanti di tutta la scena americana contemporanea, e non solo in ambito strettamente black, già capace di lasciare il segno almeno con il lavoro di debutto del 2007). Scandalous è un delizioso compendio di musica nera, che gli artisti snocciolano in tutta la sua gamma cromatica con discreta personalità ed originalità, celebrando i grandi nomi del passato e strizzando tuttavia l'occhio anche alle novità contemporanee ed ai nomi oggi più in voga.
Scandalous è anche l'eccellente prodotto di una band di giovanotti che maneggiano alla perfezione la materia con cui stanno giocando, ovvero la Storia con la S maiuscola, e che, al contrario di quasi tutti gli artisti sopracitati, guardano soprattutto agli stati del sud e ad una certa tradizione targata Stax, oltre che a tutto il filone blaxploitation.
Si ascolti a tal proposito il funk robotico e tagliente della conclusiva Jesus Took My Hand (che verte su un tema classicissimo in ambito soul), che pare uscito direttamente dalla penna di George Clinton e dei suoi Funkadelic, ma che vanta pure una discreta verve pesante da rock alternativo (la passione di Black Joe per il punk di Detroit?).
Notevoli sono pure il soul sudista, graffiante e sudato di Memphis di She's So Scandalous (ma lo spettro del gigante Otis Redding aleggia un po' ovunque, anche mi sia consentito nel catrame che avvolge le corde vocali), la verve degna di George Clinton di You Been Lyin' (con tanto di scorribande politiche dal sapore dolcemaro), il James Brown più energico (quello che ti obbliga a muovere le chiappe, volente o nolente) che pare aver scritto di pugno l'introduttiva e luminosa Livin' In The Jungle, arricchita dai saliscendi coloratissimi della sezione di corni.
Ancora, come non intravedere lo spettro dei grandi bluesman rurali nella splendida Messin', quasi degna di sedere accanto ai capolavori di Howlin' Wolf, se non addirittura di Robert Johnson, pezzo fuori tempo massimo e proprio per questo (forse) vero capolavoro del disco? O come non sentire il profumo del country-blues-rock sudista (ed anche pallidissimo) nella elettrica I'm Gonna Leave You?
Ecco, siamo giunti al termine, e ci voleva proprio una simile ripassata, in questi tempi di algida precisione che trasuda da tutti i pori: ogni tanto fa bene staccare e gettarsi a capofitto nelle pieghe della storia, specie se i risultati non si configurano come un semplice revival, ma come una rilettura accattivante ed originale del passato.
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