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R Recensione

8,5/10

Cody ChesnuTT

Landing on a Hundred

Sebbene quella canzone avesse fatto il giro del mondo un paio di volte, di Cody ChestnuTT si erano perse le tracce da quasi un decennio. Alcuni – come al solito - dicono che abbia dovuto risolvere qualche problema personale (forse perchè in “Everybody's brother” canta “I used to smoke crack back in the day. I used to gamble with money and lose”), mentre secondo altri era rimasto disorientato dall'enorme successo di quel brano (e questo è più probabile). Al di là delle congetture, il “blocco dello scrittore” di uno dei migliori interpreti black degli ultimi vent'anni è finito. Cody ChesnuTT ha impiegato dieci anni per riorganizzare la montagna di idee contenuta nel suo esordio del 2002 (“The Headphone Masterpiece”), un disco che riusciva in quasi cento minuti a offire una panoramica “lo-fi” di tutto lo scibile musicale in chiave black: neo-soul, rock, pop, R&B, hip hop erano solo alcune delle direttrici che facevano di quel disco un esperimento quasi unico nella storia della musica recente.

Landing on a Hundred”, al confronto, è un disco pop. E' necessario però sgombrare il campo da ogni fraintendimento riguardante il termine “pop” in relazione alla musica “black”. Che ci crediate o no negli anni '70 esistevano trasmissioni televisive come “Soul Train” che intrattenevano migliaia di persone con la musica di Marvin Gaye, Sly & The Family Stone, Stevie Wonder, Curtis Mayfield, Al Green e Isaac Hayes. Non era una trasmissione dedicata agli appassionati, era un progetto “popular” nel vero senso della parola: ritmo, colore, ballerini ovunque. Era la passione di una intera generazione “black” riversata sul piccolo schermo. Negli anni '70 “Soul Train” era “pop”, così come erano “pop” la Stax Records e la Motown. In più, quella musica pop “nera” aveva una connotazione identitaria superiore rispetto alle altre, stimolata da un paese (gli U.S.A.) ancora pieno di contraddizioni, di razzismo latente e rivendicazioni culturali che tendevano a chiudere, a categorizzare e a opporre.

La prima suggestione proveniente dall'ascolto di “Landing on a Hundred” è proprio questa : una reincarnazione del Curtis Mayfield di “Superfly” (o del Marvin Gaye di “What's going On”) che piove dal cielo a ristabilire e regole e dimensione nella caotica scena “black” odierna, che ha sostituito l'orgoglio “Black & Proud” di James Brown con un (ormai) fumettistico “gangsta style” che anziché unire e invitare alla riflessione rimarca le distanze, creando un ghetto figlio dell'uniformazione forzata dei nostri tempi. E non è un caso che ChestnuTT si interroghi (retro-copertina dell'edizione in vinile) sulla genesi del proprio lavoro definendolo una risposta all'esigenza di “mettere il mio dono in musica al servizio delle persone, con l'aiuto di Dio, dei miei antenati, della mia famiglia e dei miei amici”. C'è spiritualità e passato in “Landing on a Hundred”, a partire dal tributo all'Africa espresso in “I've Been There”, afro-funk tiratissimo con tanto di elenco in ordine alfabetico dei paesi africani in sottofondo (Algeria, Angola, Benin, Botswana … con quella pronuncia poi!) e un arrangiamento di fiati che più nero non si può. Ma il richiamo al passato di Cody non è mai strumentale o citazionista come poteva essere quello di un Lenny Kravitz, e nemmeno ruffiano e “balneare” come quello di Ben Harper (sebbene l'iniziale “'Til Met The” non ne rifiuti la prospettiva in via definitiva).

Cody ChesnuTT guarda al passato in maniera sempre lucida, personale e rispettosa. Canta usando il microfono di Al Green (e pare che quel microfono ad un certo punto abbia esclamato “Al, era ora di smetterla con questi canti religiosi!”), rievoca il passo morbido di Marvin Gaye (“What kind of cool”), l'uso degli archi in chiave soul (“Chips Down”) e l'anima “cantautoriale” di Otis Redding (“Love is more than a wedding day”). Allo stesso tempo non rinuncia al suo ecletismo, sebbene sia contenuto rispetto all'album d'esordio con il chiaro intento di ottenere un disco completo, lineare e intelligibile: “Don't Follow Me” coniuga una specie di passo trip-hop ad un cantato gospel (che non riesce a non ricordarmi le tonalità di Terence Trent D'Arby, anche se dovrei scrivere Sam Cooke), “Under the Spell of the Handout” è blues a rotta di collo, una delle cose migliori mai sentite in tempi recenti, tra cambi di tempo imprevedibili, una coralità perfettamente bilanciata e una voce (la sua) veramente inarrivabile. E poi ancora, bassi funk portanti degni di Curtis Mayfield (“Scroll Call”, “Don't Wanna go on the Other way”), semplificazioni ritmiche in levare (“Where is all the Money Going”, come fosse una riedizione post-Lehman Brothers di “What's Going On”). O sto impazzendo o qui non c'è una nota fuori posto neanche a cercarla con il microscopio. Forse questa passione per la musica nera degli anni '70 mi sta facendo male, dovrei smetterla di guardare i video di “Soul Train” su Youtube. Intanto chiedo un parere ad un amico che di “black” - vecchio e nuovo – ne mastica anche mentre dorme.

 

Eh eh…grazie Fab. Troppa grazia, anzi. Un po’ come Cody ChesnuTT, uno abituato a dare molto in termini di qualità e a ricevere poco sul piano della quantità. Pochi dischi pubblicati, pochi dischi venduti (se si eccettua la parentesi di “The Seed (2.0)”), poca copertura da parte della critica musicale e della stampa specializzata, perlomeno in Italia. Come giustamente ricordavi: prima un esordio tanto geniale quanto misconosciuto, riportato brevemente agli onori delle classifiche americane nel 2003 grazie al traino dell’exploit con The Roots, poi dieci anni di misterioso e dignitoso silenzio ed ora questo. Eppure, per quanto ci provi, proprio non riesce a passare inosservato. “Questione di feeling” come faceva figo dire negli anni '80, ma soprattutto di talento. Un talento rimasto per troppo tempo occluso e che ora trabocca, eclettico e debordante, allagando l’intero panorama black contemporaneo.

Landing On A Hundred” innesca un cortocircuito non solo musicale ma anche culturale e sociologico fra passato e presente. Perché non è solo un disco vintage e pop che si abbevera nell’alveo della musica soul più progressiva e innovativa degli anni '60 e '70, ma affina gli strumenti del passato per parlare del nostro presente dissociato. Testimonia la sopravvivenza dei valori e della spiritualità , in questo caso legati alla musica simbolo della comunità afroamericana, in un’epoca in cui il mercato assegna un prezzo ad ogni cosa, e poi lo svaluta, lo fa crollare, per arricchire ancora di più chi già lo è fino all’inverosimile (“Where Is All The Money Going”, non a caso). Non è l’ennesima “bolla”, il lavoro di ChesnuTT, invece: investe, non specula e ripaga con gli interessi l’ascoltatore. Un album talmente ricco e munifico che non si sa nemmeno da che parte cominciare a “spenderlo” in parole. Gli arrangiamenti, senza dubbio, sono un punto di forza: di rado oggi se ne sentono di così complessi, ariosi, certosinamente analogici nell’intarsio di piano, archi, fiati, cori, a dare fibra e spessore, eleganza e irruenza. Ma non sono mai fini a se stessi, non cadono nel vuoto del citazionismo e della ripetizione, poggiano, in effetti, su una qualità di scrittura sempre elevata e personale, più coinvolgente che cerebrale, com’è giusto che sia. La sua voce, poi, così morbida e flessuosa, che sa glissare e sfumare o, al contrario, sferzare, incitare, mordere se necessario, senza mai scadere nell’esibizionismo o in un virtuosismo non funzionale allo sviluppo della melodia.

Dici bene: Curtis Mayfield sembra tornato in vita giusto in tempo per festeggiare la rielezione di Obama (al quale, peraltro, Cody ha dedicato questo pezzo che resta fra le cose più belle in dote alla sua presidenza, finora) in brani dal meraviglioso respiro cinematico come “That’s Still Mama” o in quel ribollente e delizioso calderone di funk afro-caraibico e blaxploitation che è “I’ve Been There”, ma anche Stevie Wonder (lui pure fervente testimonial dell’inquilino della Casa Bianca) non credo si sentirà offeso dal paragone per “Scroll Call”, che a tratti mi ricorda i brani più nervosi e contrastati di “Innervision”. E poi c’è il ricamo doowop sull’arazzo Motown di “Love’s More Than A Wedding Day”, il soul un po’ reggaeggiante di “Everybody’s Brother”, mentre bluesy, vellutata e modellata su un impeccabile crescendo per archi e cori è “What Kind Of Cool (We Will Think Of Next)” e in “Don’t Wanna Go The Other Way” sembra quasi una versione retro-futurista dei Tv On The Radio. Tuttavia il meglio di sé, e mi pare che anche su questo siamo più o meno d’accordo, lo sfoggia nel trittico idealmente rappresentato da “Don’t Follow Me”, elegia notturna, rallentata e jazzata, “Under The Spell Of The Handout”, sorta di numero da black-musical coreografato da cori femminili e blues scalciante e bandistico e, dulcis in fundo, “Chips Down (In No Landfill)”, orchestrale e piena di finezze nell’arrangiamento sfarzoso (piano, archi, ottoni, flauto traverso) che culmina nel climax lussureggiante del ritornello (“I-I-I sold my radiooo…” che meraviglia!).

Ascolto dopo ascolto si fa sempre più nitida la percezione di trovarsi di fronte ad uno di quegli album destinati a fare la storia in retrospettiva, ad essere riscoperto e rivalutato esponenzialmente dopo un’iniziale distratta condiscendenza.

V Voti

Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 18 voti.
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salvatore 8,5/10
gull 9/10
loson 7/10
voivod 9/10
creep 7,5/10
cnmarcy 7,5/10
REBBY 7,5/10

C Commenti

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salvatore (ha votato 8,5 questo disco) alle 11:00 del 26 novembre 2012 ha scritto:

Meraviglioso! E' l'album che sto ascoltando di più negli ultimi tempi e "Chip's Down..." (mio brano preferito; subito dopo: "Don't Follow Me" e "'Til I Met Thee", ma tutti i brani sono veramente ispirati) è bella, proprio bella, vicinissima al mio ideale di bellezza in musica. Elegante, accorata, malinconica e un ritornello che ti butta a tappeto: canzone dell'anno, o poco ci manca... Ho recuperato anche il primo disco di ChesnuTT, ma credo di preferirgli questo, proprio in virtù di quella linearità e di quella vena pop maggiormente sviluppata di cui parlate. Forte anche la recensione di cui condivido pure il voto! Tra i dischi dell'anno, ovviamente...

gull (ha votato 9 questo disco) alle 16:51 del 26 novembre 2012 ha scritto:

E' interessante come ciascuno di noi ci senta qualcosa (o qualcuno) di diverso. Io nella musica di Chesnutt sento in prevalenza una grande ed immensa gioia! Quella che solo certa black music riesce a trasfondere. Qui riesce nell'impresa di superare l'eccellente esordio, cambiando completamente registro. Mio disco preferito di quest'anno, di gran lunga. Non aggiungo altro perché avete scritto già tutto voi!

loson (ha votato 7 questo disco) alle 18:25 del 26 novembre 2012 ha scritto:

All'inizio pensavo fosse un album tributo a Eddie Kendricks, poi ho scoperto che c'è anche altro. Però, ecco, di note fuori posto ce ne sento. Lui indubbiamente ha classe, il suono è bello vintage, ma la scrittura fa i capricci. La prima "facciata" mi scivola via, eccetto l'iniziale "'Till I Met Thee" che un discreto esercizio smooth dalla melodia appiccicosa; anche la produzione di "Don't Follow Me" è interessante, ma il pezzo non mi piace. Nella seconda parte c'è il riscatto, con almeno quattro brani eccellenti: "Everybody's Brother" così chitarrosa/organosa/sudista/Stax che non puoi resisterle; il boogie di "Under The Spell Of The Handout" che sembra d'ascoltare un Ray Charles dell'oltretomba tutto ossa che suona nel baretto sotterraneo de "La Sposa Cadavere" (la sezione centrale, invece, è Ohio Players al 100%); "Chips Down", la ballatona orchestrale che muta pelle di continuo, un arrangiamento "volatile", traditional ma assolutamente creativo; infine "Love Is More Than A Wedding Day", il capolavoro, come una big band bella swingante che si ritrova nella Detroit di fine '60s e si arrende al suo flusso di malinconica gioia. Peccato, dicevo, per i tanti punti morti. Quando vuole, ChessnuTT sa scrivere canzoni straordinerie (al momento mi viene in mente quella "Smoke And Love" su "The Headphone Masterpiece" che ancora mi scioglie), dovrebbe solo essere più continuo. Per me qua siamo sul 7. A chiunque abbia da poco iniziato il trip con la musica black e ami queste sonorità, consiglio di ascoltarsi un po' di roba fuffosa, che ci guadagna di brutto. Questo qui è sul 7, secondo moi.

loson (ha votato 7 questo disco) alle 18:27 del 26 novembre 2012 ha scritto:

L'ho già detto che il mio voto è 7? Cmq è 7, che si sappia. XD

fabfabfab alle 12:55 del 30 novembre 2012 ha scritto:

Eh sì, effettivamente la voce è molto simile a quella di Kendricks, altro idolo di Soul Train..

paolo gazzola (ha votato 8 questo disco) alle 23:21 del 26 novembre 2012 ha scritto:

Ehm, cancello - finché sono in tempo - il mio commento, ché m’è parso suonare polemico quando voleva essere solo pungente (scadente) ironia… Posso? L’entusiasmo per il disco, invece, rimane tutto!

Franz Bungaro (ha votato 9 questo disco) alle 10:59 del 28 novembre 2012 ha scritto:

Questo disco è una manna dal cielo. Grazie Fabio e Simone per avercelo presentato in pompa magna. E' stato bellissimo scoprirlo e coglierne le sfumature (cosa che un "non esperto" come me non avrebbe potuto cogliere appieno da solo), avendo la vostra recensione come guida. Lonely planet. Corro ad acquistarlo.

nebraska82 (ha votato 8,5 questo disco) alle 22:00 del 29 novembre 2012 ha scritto:

veramente eccellente.

Dr.Paul alle 11:13 del 16 dicembre 2012 ha scritto:

con una leggera spintarella lo faccio entrare in top10. mi piace ma nn mi convince fino in fondo. certe scelte d'arrangiamento troppo patinate e polvere di stelle non fanno molto per me....

Yanni Vampiro. (ha votato 9 questo disco) alle 14:27 del 26 gennaio 2013 ha scritto:

Questo è un disco incredibile.

Yanni Vampiro. (ha votato 9 questo disco) alle 14:27 del 26 gennaio 2013 ha scritto:

Questo è un disco incredibile.

bbjmm alle 14:56 del 4 agosto 2013 ha scritto:

mi sembra di ascoltare un disco risentito rifatto...preferisco ascoltare allora il passato ripspetto al genre...si ok rispetto però mi annoia....vecchio.

bbjmm alle 15:00 del 4 agosto 2013 ha scritto:

Disco CURATISSIMO ! PIACEVOLISSIMO ! Ma mi sembra di ascoltare un disco risentito rifatto riarrangiato...preferisco ascoltare allora il passato...si ok rispetto però non so...ascoltatelo.

REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 11:17 del 14 agosto 2013 ha scritto:

Ok trattasi di soul d'annata, ma come resa sonora non sfigura di fronte ai classici. Si può ascoltarlo in alternativa eh

Più o meno vale lo stesso discorso fatto a suo tempo per Brothers dei Black keys.

Anche a me, come a Gull, l'ascolto di quest'album trasmette soprattutto gioia.