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R Recensione

8/10

Matthew E. White

Big Inner

Sarebbero così tanti i riferimenti da citare per descrivere questo disco d'esordio di Matthew E. White che la recensione rischierebbe di diventare un elenco telefonico. Questo potrebbe sminuire la qualità di un lavoro che è anche (e sopratutto) un miracolo d'inventiva e fantasia, un puzzle sonoro nel quale ogni tessera è così perfetta da poter essere invertita o modificata senza correre il rischio di pregiudicarne la resa finale. Allora facciamo così, parliamo dei singoli brani, dei singoli suoni e delle singole emozioni (perchè è ancora questo quello che cerchiamo in un disco, no?) e poi al fondo elenchiamo i riferimenti, affinchè ognuno possa ricollocarli all'interno del disco come ritiene opportuno (questa poi me la rivendo ai tizi della Settimana Enigmistica).

 

Matthew E. White è un ciccione barbuto di 30 anni e arriva da Richmond, Virginia. Lì è una mezza leggenda: promotore culturale, produttore, arrangiatore, fondatore del "Patchwork Collective" (collettivo creato con lo scopo di dare vita ad una scena musicale locale) e leader dei Fight the Big Bull (ancora attivi, spesso in collaborazione con David Karsten Daniels). Qui da noi arriva solo ora, con il suo debutto solista intitolato "Big Inner". Nonostante alcuni brani siano accreditati come cover (!), solo "Will You Love Me" riprende il tema di "Games people Play" di Joe South, che però White dichiara di aver preso dalla versione di Lee Dorsey del 1970, salvo poi accreditarla a Jimmy Cliff come "ispiratore" (e citare un verso della sua "Many Rivers To Cross"). Insomma un gran casino, ma la cosa divertente è che White omaggia i suoi idoli citandoli e accreditandogli i suoi pezzi. La conclusiva "Brazos", ad esempio, vera e propria summa dell'album, tripudio di archi, fiati, cori gospel ed "esplosioni melodiche" talmente esaltanti da richiedere l'intervento di ben 30 musicisti per la sua esecuzione live , è accreditata a Jorge Ben. "Gone Away", indolente ballata dalle rotondità "classiche" che al quarto minuto si trasforma in un gospel nero e misericordioso, (di conseguenza) cita e viene accreditata a Washington Philips. E l'intero disco è una sintesi mirabile di vecchio e nuovo, è un ponte tra il Tennesse della Stax, il soul degli anni '60, l'ispirazione "tropicalista" e i moderni cantautori (barbuti e non) alt-country o indie-pop. 

 

Sentire l'approccio vocale dimesso di "One of These Days" fa venire in mente le intuizioni dei noti eroi indie-americani del nostro tempo, ma al tempo stesso quella battuta lenta, quegli accordi soul di chitarra e quei fiati richiamano le migliori pagine della musica nera americana di cinquant'anni fa. "Big Love" va anche oltre, accelerando il passo, introducendo handclapping e un piano in controtempo che uccide, eppure cedendo (ma come fa?) ogni tanto il passo a svenevolezze soul in bianco e nero. E quel finale che coniuga rock e gospel senza rientrare in nessun canone di entrambi, è puro genio. Di "Will You Love Me" si è già detto, ma bisogna aggiungere che la resa del tema citato è talmente soave da far dimenticare lo scempio-tormentone compiuto anni fa dagli Inner Circle. "Steady Peace" mette il soul sulla pista da ballo come potevano farlo solo certi artisti della Motown (l'andamento allegro da black-boy band degli anni '70, capito chi?) o della Stax (quel falsetto, capito chi?). "Hot Toddies" associa un quartetto d'archi a ritmi da jazz-club ma poi si trasforma in un mantra oscuro e misterioso carico di note basse. E poi quel finale collettivo, così bianco e così nero, così semplice e così complesso. Dieci minuti che ti avvicinano al Paradiso, senza paura. Perchè “Jesus Chris is our Lord/Jesus Christ he is your Friend”.

 

 

Passato: Alan Lomax, Brian Wilson, Caetano Veloso, Randy Newman, Burt Bacharach, John LennonJimmy Cliff, Washington Philips, Jorge Ben, Arthur Russell, Fred Neil, Sons of Champlin, Allen Toussaint, Chico Buarque, Harry Nilsson, Donny Hathaway, Jackson Five, Curtis Mayfield

 

Presente: Lambchop, Sufjan Stevens, Iron & Wine, The National, M. Ward, Palace Music, Bon Iver, Megafaun, Mountain Goats, Gayngs

 

Buon divertimento.

 

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 5 voti.
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gull 7/10
REBBY 6/10

C Commenti

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target alle 15:40 del primo novembre 2012 ha scritto:

Ogni anno da Fabio te la devi aspettare una proposta così, e attenderla è un piacere. Un qualche freak ignorato, un border-line derelitto, un barbuto perso a se stesso, un cantautore della provincia che si detesta duro, una band cristiana tra folk e hardcore (eheh), e via dicendo. Questo Matthew E White rientra perfettamente nella foto di gruppo. Bellissimi, per me, i pezzi più mossi, da "Big love" a "Steady pace", accanto al gospel di "Gone away". Ma l'intero disco è raffinato e, anche nei suoi momenti meno luminosi, riconciliatorio. Con tutto.

bill_carson alle 22:36 del 3 novembre 2012 ha scritto:

talentone. disco bello dall'inizio alla fine

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 12:11 del 24 novembre 2012 ha scritto:

Mi ha detto pochino... Un po' troppo pomposo per i miei gusti. E poi le melodie girano e girano ma non fanno mai centro. La cosa musicalmente più vicina mi sembrano i Polyphonic Spree che, nei momenti migliori, però, sembrano possedere tutta un'altra leggerezza.

fabfabfab, autore, alle 14:38 del 24 novembre 2012 ha scritto:

I polyphonic spree? pomposo? sei sicuro di aver ascoltato lo stesso disco?

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 14:55 del 24 novembre 2012 ha scritto:

Oddio, io ho ascoltato "Big Inner" di Matthew E. White, di questo sono piuttosto sicuro... Pomposo nel senso di calderone un po' pretenzioso dove trovo tante, troppe cose, ma messe poco a fuoco. I Polyphonic li sento nell'utilizzo delle orchestrazione che dovrebbero elevare e invece affondano e in un attitudine un po' "barocca", seppur dimessa.

fabfabfab, autore, alle 15:01 del 24 novembre 2012 ha scritto:

Boh sarà, io per "pomposo" intendo "magniloquente", "eccessivamente ricco"... pretenzioso è un concetto diverso. Non ci sento neanche molto di "barocco", al contrario lo trovo abbastanza lineare, quasi "classico". Poi sì, gli arrangiamenti chiamano in causa molti strumenti... va beh, misteri della sensibilità.

salvatore (ha votato 6 questo disco) alle 15:23 del 24 novembre 2012 ha scritto:

Infatti il senso di "eccessivamente ricco" va benissimo anche per la mia idea di questo album. E poi, facilmente, pomposo e pretenzioso sono condizioni che vanno a braccetto. Beh, sì, i misteri della sensibilità: io "lineare" è l'ultimo aggettivo che avrei potuto utilizzare per questo album.

bill_carson alle 0:58 del 25 novembre 2012 ha scritto:

anch'io lo trovo coeso, coerente lineare. lo percepisco come un corpo unico. mi piace molto il contrasto fra la vivacità degli arrangiamenti e il cantato annoiato di White. ha un sound seducente, forgiato dal fuoco del soul, un fuoco controllato però perchè il disco non vuole far saltare sulla sedia l'ascoltatore, ma procurargli una sensazione di estremo benessere. cosa che con me accade. un tenero hippy-freak fuori tempo massimo ci regala un disco fatto col cuore, di canzoni vecchia maniera, intinte nel soul e nel gospel. bravo. instant classic

gull (ha votato 7 questo disco) alle 15:47 del 3 gennaio 2013 ha scritto:

E finisco, forse, i miei recuperi "Codiasiani" del 2012 con questo disco, che in realtà ho in ascolto da quando ho letto la recensione. Pollice certamente su per questo miscuglio ben riuscito di generi ed influenze (io ci aggiungerei pure Bruce Peninsula!).

fabfabfab, autore, alle 11:29 del 4 gennaio 2013 ha scritto:

i Bruce Peninsula sono così "totali" che ci stanno sempre. Non li ho citati per non fare troppo il "vanitoso". Tra l'altro la prima edizione (autoprodotta, praticamente, visto che la Spacebomb è sua) è già out of print, e la seconda uscirà su Domino Records....

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 8:58 del 11 marzo 2013 ha scritto:

Raffinato album di gospel mulatto , talvolta lezioso (archi fin troppo invadenti) e fin troppo placido per i miei gusti, ma di qualità certificata FAB 2012. Brazos mi pare il brano più significativo, ma è Big love (la più movimentata) ad essere la mia preferita.

Franz Bungaro (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:17 del 22 marzo 2013 ha scritto:

Probabilmente, anzi, sicuramente, la mia classifica del 2012 sarebbe stata molto diversa se avessi ascoltato bene quest'album. Come se qualcuno avesse suggerito ai Bon Iver di innestare nelle loro corde un lato roots soul/blues, perchè la miscela avrebbe funzionato. La miscela infatti funziona. Album davvero notevole. Intenso e caldo come pochi altri nella scorsa stagione (forse giusto Bill Fay). Fabio, perdonami se non mi sono fidato subito di te!

fabfabfab, autore, alle 13:08 del 25 marzo 2013 ha scritto:

Tranquillo franz, anzi grazie per la fiducia!