Neneh Cherry
Homebrew
Neneh Cherry è la sorella di Eagle-Eye Cherry e la figlia di Don Cherry. Se il primo è artista piuttosto trascurabile, il secondo (Don) è qualcosa di più di un semplice comprimario per quanto riguarda la scena jazz. E pure la nostra Neneh non scherza, in quanto ad influenza sulla scena black inglese (e non solo).
Amy Whinehouse è in fondo una sua erede … ma prima bisogna ricordare i Massive Attack, i Portishead e tutte le varie diramazioni del Bristol sound di cui è stata certamente madrina ed anche affascinante interprete, sdoganandolo ed esportandolo per le grandi platee. Ne è (ottimo) esempio la colonna sonora di Until The End Of The World, già di per sé meravigliosa ed ulteriormente impreziosita proprio grazie alla dub version di Move With Me.
Homebrew è il suo capolavoro, datato 1992 e dedicato alla figlia neonata.
Dopo un inizio di carriera smaccatamente dance nell’89, Neneh approda in sostanza al pop: raffinato e femminile, elettronico ed africano, metropolitano e giamaicano insieme. Chitarre rock, rapping ed atmosfera soul, un po’ di synth molto eighties, spolverate abbondanti di riverberi e delay e lei (soprattutto lei) a svettare ovunque.
Apre le danze in maniera eccellente Sassy, con la carismatica presenza di Guru e del suo straordinario flow: e pare quasi di ascoltare un’outtake leggermente ossessiva di Jazzamatazz, ma è comunque Neneh è far la parte della leonessa. Come nella successiva Money Love, degna del miglior Prince più electro-rock.
Perla assoluta di questo cd è la magnifica Move With Me: nebbiosa gemma, psichedelica e dub, con i suoi sintetizzatori evocativi ed i suoi riff wave a rendere tutto più cupo, grigio e metropolitano; mentre lei sussurra, si commuove, si incazza, canta facendo cadere ai suoi piedi chiunque sia in ascolto.
Pure I Ain’t Gone Under Yet è un gioiellino: un sincopato beat soul fa da perno ad un’indolente rap guidato dalla nostra. Somedays è un oscuro ibrido tra r’n’b e downtempo, che molte dive black odierne hanno sempre studiato e difficilmente replicato. Stupisce la grintosa Trout: il duetto tra Michael Stipe e Neneh arricchisce un bel pezzo che suona come un esperimento pop dei Living Colour, con la nostra che sfodera un’interpretazione che sovrasta a livello di carisma anche il sempre meraviglioso cantante dei R.e.m.. Chiude lo swing-jazzyBristoliano di Red Paint: sensuale e materno è un perfetto abbandonarsi con la certezza di potersi sempre ritrovare.
Quindici anni e non sentirne assolutamente il peso: suoni, che oramai hanno fatto la storia e sono un patrimonio per qualunque appassionato di black, sono qui condensati con intelligenza e stile. A iosa.
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