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R Recensione

7/10

Shirley Davis & The Silverbacks

Wishes & Wants

Che il ritorno della musica soul non sia una moda passeggera è evidente. Lo dimostra non solo il fatto che da quello "scaffale" (o da quelli vicini) siano arrivati dei pesi massimi ormai storicizzati (Amy Winehouse, per dire, esordiva quindici anni fa) e compianti (Sharon Jones, altra voce indimenticabile), ma anche che il numero di produzioni che si rifanno in modo più o meno fedele a quelle sonorità sono in costante aumento, al punto da aver creato una specie di macrogenere retromoderno. 

Proprio dall'amicizia (conquistata tramite azioni al limite dello stalking) con Sharon Jones inizia la carriera di Shirley Davis. La ragazza scalpita sotto il palco finché la diva statunitense non la fa salire, offrendole un microfono. Da quel giorno questa apolide (nata a Londra da genitori giamaicani, ha vissuto gran parte della propria vita in Australia per poi trasferirsi a Madrid) voce soul ha unito le proprie forze con quelle degli spagnoli The Silverbacks, dando vita ad una band che fa del soul "classico" la propria bandiera.  

"Wishes & Wants" è un piccolo gioiello che usa il soul (c'è davvero l'anima della Winehouse in "Treat me better") per dare sfogo a una sezione ritmica di gran livello (l'incontro tra fiati e batteria di "Troubles & Trials"), che porta i Silverbacks ora dalle parti di James Brown ("Kisses" è quasi un tributo al padrino del soul) ora da quelle ancora più nere di Fela Kuti ("Night Life" è un afrobeat lucido e preciso). Perché sebbene il soul rappresenti la strada principale di Shirley Davis e dei suoi sodali, sono i sentieri secondari a rendere interessante "Wishes & Wants": "Fire" sembra prendere spunto dal fuzzrock Zambiano, "Woman Dignity" dal jazz etiope di Mulatu Astatke e il "Theme" dei Silverbacks strizza l'occhio al periodo d'oro della Blaxploitation, supplendo - con classe ed estro non comuni - ad alcune residue debolezze vocali della Davis, che sembra ancora non esprimere appieno le proprie evidenti qualità.

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