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R Recensione

7,5/10

Willis Earl Beal

Acousmatic Sorcery

“My name is Willis Earl Beal, write to me and I will make you a drawing. Call me, and I will sing you a song”.

 

Così recitava uno dei tantissimi foglietti disegnati da un ragazzo afroamericano, nato a Chicago, riformato dai marines, vittima di costanti attacchi depressivi, che viveva la strada di Albuquerque, nel deserto del New Messico, alla ricerca dell’imprevedibile che il giorno dopo gli avrebbe fatto sbarcare il lunario. Tra i tanti lavoretti saltuari che gli capita di fare, Willis si esibisce per strada con la sua straordinaria voce da nero e una chitarra sgangherata, pezzi che poi avrà cura di registrare in modo artigianale su cassetta. Poi fa disegni, che distribuisce per farsi pubblicità e conoscere ragazze, sua altra grande passione. Un novello Jan-Michel Basquiat che trova in un giornalista di una rivista locale, il Found Magazine, tale Davy Rothbart, il suo Andy Warhol. Questo è un giornale particolare, che pubblica cose “ritrovate”, da foto d’epoca a poesie, fino a disegni e canzoni, e così è stato per lui.

Willis è povero ma con le idee chiare. Uno di questi flyer, fatto arrivare al giornalista suddetto, finisce sulla copertina di un numero del giornale. Un flyer simpatico, stravagante, scanzonato, ma a guardarlo bene invece, molto triste. Accanto ad un suo autoritratto dove si raffigurava in giacca e papillon e con lo sguardo assente, c’era (tra le altre cose) scritto “Mi piacciono la farina d’avena, le stazioni dei treni, la notte e la camomilla. Chiamami ora se sei una bella ragazza al (…) [il numero però c’era davvero, ndr]. Sono alto un metro e settanta.”

Odiava internet, non aveva Facebook, e nel periodo storico in cui tutti sono qualcuno riempiendo la rete della propria “arte”, lui le sue opere le indirizzava su un canale che nessuno sembra più praticare con il piglio di chi vuole veramente emergere. La strada.  Da allora (siamo nel 2010) Willis ha pubblicato 2 album, questo che vi raccontiamo è il primo. Il secondo capitolo “Nobody knows”, uscito quest’anno, è un’altra storia. Bellissima, tra l’altro. 

Acousmatic Sourcery è la trasposizione in LP delle registrazioni effettuate con mezzi di fortuna nel tempo da Willis, già in parte pubblicate dallo stesso Found Magazine tempo prima in un mixtape dalla tiratura limitatissima (200 cd). Quando ascoltai la prima volta il vinile, più o meno quattro mesi orsono, ricordo che il primo pensiero andò alle mie casse. “Cavolo, sono partite di nuovo”. Stoppo tutto, controllo i cavi, riavvito i jack, rimetto il disco. Niente, “si sente di merda”. Quella stessa merda, ci misi un po’ a realizzarlo, era la principale caratteristica e forza del disco. Lo-fi estremo, anti-blues, (r-)umorismo, stregoneria acus(ma)tica, il tutto immerso in una black music dal sapore sacro. Capita allora che ti venga in mente Otis Redding che canta al citofono e viene registrato col telefonino da un passante, mentre Tom Waits delira sotto la doccia e Son House riecheggia dal salotto. C’è sacro e profano in questa casa, elementi che si annusano e si piacciono, e, soprattutto, lo fanno senza utilizzare scorciatoie o mezzucci accattivanti. Il ritmo, quando c’è, lo detta la percussione di oggetti di fortuna, nello stile di amatoriali riproduzioni domestiche (Ghost robot, Take me away, Swing on low). Solo, anima e corpo.

La particolarità di queste 11 canzoni è che sono scritte, interpretate e registrate essenzialmente per se stesso, per una sua esigenza personale di comunicazione e senza un filtro compromissorio che le possa rendere appetibili ad un vasto pubblico. Non è semplice l’ascolto, può pure risultare fastidioso in alcuni punti, specie dove la scarsa qualità del suono, gli arrangiamenti minimali, eseguiti da strumenti approssimativi, fanno a cazzotti con la voglia di sentire quella voce fantastica abbinata ad una perfetta e più pulita miscela sonora (Cosmic queries, Sambo joe from the rainbow, Bright copper) .

Nonostante questo si possono pure estrapolare pezzi che hanno una ragion d’essere anche a prescindere dalla fantastica storia di questo personaggio, dalla sua voce divina (seppur sepolta sotto una fitta coltre di bassa fedeltà) e destinata sicuramente a far parlare di se in futuro. Evening’s Kiss, Take me away (che sembra interpretata da una androgina Nina Simone) e Monotony, probabilmente il pezzo più bello e struggente dell’intero album. 

Questa musica va quindi ascoltata tenendo possibilmente presente la storia che le sta attorno e la vita di chi la propone. Non è quindi un ascolto libero e assoluto ma necessariamente condizionato e influenzato dal personaggio Willis Earl Beal e dalla sua straordinaria forza d’artista. Non è sicuramente un’opera essenziale e a livello di qualità assoluta sarà poi superato dal successivo capitolo. Che sarà pulito, in alta fedeltà e in generale calato in un vestito qualitativamente migliore. Secondo capitolo che perderà sicuramente in genuinità e partecipazione emotiva ma che acquisterà tanto in termini di cura del particolare e di qualità globale. Due opere che vanno comunque tenute entrambe presenti se si vuole fin da ora tenere il filo del discorso su un personaggio destinato, lo speriamo e ce l’auguriamo, ad un successo straordinario. 

Raggiunto da un giornalista, poco prima dell’uscita di questo disco, Willis diceva una cosa che mi spiazzò ma che allo stesso tempo mi fece capire che tutta questa roba non è cialtroneria, non è (solo) marketing, è genio, cosa che veramente in pochi hanno, oggi meno che in passato:

I don't do art because I love it so much. Not that I don't, but it's a natural thing.

Willis Earl Beal, Acousmatic Sorcery,  una cosa naturale.

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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gull 7/10

C Commenti

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gull (ha votato 7 questo disco) alle 20:06 del 31 ottobre 2013 ha scritto:

La bonus track ("Masquerade") è la mia preferita! Ma anche "Away my silent lover" è notevolissima. Disco ruvidissimo, sembra il Tom Waits di Bone machine senza mezzi per lo studio di registrazione. Qui più che la scrittura (non tutti i pezzi sono all'altezza) conta l'emozione del momento, il grido, il respiro, la lacrima che non si trattiene. Bravo Franz a ripescarlo ed a centrarne in pieno lo spirito ed i pregi.

Franz Bungaro, autore, alle 13:39 del primo novembre 2013 ha scritto:

Grazie Gull! si credo anch'io che l'ascolto debba essere preceduto da un minimo di immersione nella vita di questo ragazzo prodigio, al quale auguro una carriera importante...senza sconfinamenti nel mainstream che ne possano intaccare lo spirito autentico che sembra ancora contraddistinguerlo.