Dirtmusic
BKO
Qual è il motivo per cui Mali, da un po’ di lustri a questa parte, è diventato uno dei punti nevralgici del rock odierno? Perché band di beduini come Tamikrest (presenti su questi solchi), Tinariwen, e l’ormai defunto e gettato in pasto alla kermesse di mitizzazioni post mortem Ali Farka Tourè, sono alla ribalta della stampa che piace agli indie rockers sciapiti? Che cazzo ne sanno, e soprattutto cosa cazzo gliene frega ai consumatori di Converse, Ray Ban dai colori imbarazzanti e che non contemplano musica al di fuori del mostro Pitchforkiano, di beduini armati di copertoni di lana e stratocaster??
E poi la religione araba non proibiva il Rock?? La musica del Demonio per Diana!!
Bene, i luoghi comuni gettateli nel cesso, e nello sciacquone lasciate cadere anche i laptop con mele della discordia serigrafate, buoni solamente a generare BIPBUPSTAMSLAMCRACATùNZZZIP che fanno tremar le braghe agli ind(i)efessi.
Qui si vive di pulsioni tribali primitive, di ululati selvaggi (la cover di All Tomorrows Parties è da brividi, trasposta in arcaica danza tribale), e del blues più roots che possiate immaginare, che mira a sradicare le origini del genere umano stesso, piuttosto che limitarsi ad un solo banale genere musicale.
Il secondo capitolo della saga Afro di Hugo Race (si, quello dei Semi Cattivi) è un viaggio nel ventre arido della madre terra, che si snoda fra tribalismi desertici (il folk secco di Desert Wind), rock contaminato dalla puntura di uno scorpione (Lives we did not live), arabeschi acustici e percussioni lievi (Unknowable) e blues desertici per coyote solitari (Smoking Bowl), il tutto giostrato con sicurezza e maestria da vendere, in un collettivo tanto eterogeneo (Tamikrest, Chris Eckman, Thurston Moore e Chris Brokaw) quanto affiatato e in stato di grazia desertica. Civiltà Touareg, rock desertico, Noise e Paisley riuniti sotto lo stesso, ed all’apparenza improponibile, tetto della musica africana declinata allo stile occidentale.
BKO è un disco di musica vera e pulsante, senza fronzoli o banali artefatti digitali che infestano le composizioni musicali odierne, un gioiello di rara bellezza custodito sotto la sabbia rovente del deserto, di musica pensata, composta e registrata come natura crea. Ma non parliamo di prodotti inscatolati e rinchiusi in un involucro di latta, BKO è un frutto selvatico da cogliere a mani nude, con cui pungersi delle sue irte spine, e da cui succhiare via tutto il succo vitale.
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