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R Recensione

7,5/10

Fela Kuti & the Africa '70 with Ginger Baker

Why Black Man Dey Suffer

Nel 1971 se Fela apre la bocca, Lagos si surriscalda. Il futuro Black President è tornato in Nigeria per restarci, ha imparato il funk in America, il jazz in Regno Unito e le tradizioni africane in Ghana, Nigeria e Camerun. Fela Kuti vuole essere Malcom X, e se Malcom X parlava dell'Africa, Fela Kuti vuole svegliarla, vuole rivoluzionarla. E' diventato un uomo importante a Lagos, gestisce un locale frequentatissimo, registra dischi in continuazione (in formato 7'', soprattutto), è andato all'aereoporto di Lagos e ha fatto entrare Sandra Isidore in Nigeria senza passaporto. E' un artista famoso e un uomo rispettato, e capisce che la sua musica può essere un arma, un modo diretto per parlare all'Africa. Capisce che il “Say it Loud, I'm black and I'm proud” di James Brown, se veicolato attraverso l'afrobeat direttamente tra i popoli africani, può finalmente cambiare le cose. Può cancellare il ricordo di suo padre e della sua connivenza con la dominazione bianca, può spazzare via lo stereotipo dell' uomo africano schiavizzato, dominato e sottomesso. La Nigeria aveva appena scoperto di avere una fortuna petrolifera nel suo sottosuolo, e poteva finalmente ottenere il potere. Il Potere Nero.

Se “Open & Close” definiva i canoni musicali dell'Afrobeat, “Why Black Men Dey Suffer” ne esplicita il pensiero, la forza rivoluzionaria, il messaggio. La musica di Fela Kuti e degli Africa '70 diventa la base su cui emerge la potenza della voce di Fela, il filo conduttore di un pensiero nuovo di libertà e riscatto per tutto il popolo africano. Simbolicamente, “Why Black Men Dey Suffer” inizia intonando un canto tradizionale africano che Fela chiama “Kanginni Koko”, poi crea un lungo momento strumentale disteso e jazzato basato sul sax di Igo Chico e sulle parti ritmiche create da Tony Allen e Ginger Baker, quasi a voler far salire l'attesa e la tensione, e al minuto 7:20 inizia a spiegare il Kuti-pensiero: "Why black people suffer today / Why black people are poor today / Why black people are not into space exploration today / This is why / We’re sitting peacefully in our homes / Peacefully minding our business / Strangers came from far away land / They fought us and captured our land / They captured our people and ruined our towns / It’s been trouble ever since”.

Why Black Men Dey Suffer” non è il patriottismo complice di “Viva Nigeria” e non è neanche il generico manifesto di “Buy Africa” o “Black Men's Cry”. E' una presa di posizione forte, una denuncia di quello che tutti gli Africani fingevano di non vedere. E' una canzone pericolosa, al punto che la Emi si rifiuta di pubblicarla. Sul lato B c'è la spiegazione della scelta del pidgin english, la lingua del pan-africanismo: “Ikoiy Mentality versus Mushim Mentality”. Ikoyi è il quartiere ricco di Lagos, Mushim è il quartiere povero. “La gente di Ikoyi viaggia per il mondo, e ci porta la civilizzazione, mentre la gente di Mushin resta a casa, non viaggia mai, capisce il linguaggio della gente, il linguaggio dell’Africa. La gente di Ikoyi, anche se viene da Ibadan parla un inglese perfetto, non vuole parlare come gli ignoranti. La gente di Mushin parla il pidgin english, parla di ciò che conosce, dello stile di vita africano originale. Ikoyi è un nonsenso, Mushin è la gente comune”.

Quello che resterà per sempre di “Why Black Men Dey Suffer” è il motivo del perchè “i neri soffrono”: “Ci rubano la cultura / e ci danno in cambio le loro culture confuse … perdiamo la nostra identità, dimentichiamo i nostri antenati”. E' simile a quello che Sandra Isidore aveva spiegato a Fela negli Stati Uniti, ed è simile a quello che il Black Power diceva agli afroamericani. E' un concetto che sembra scontato ma non lo è, e che cantato in Africa, allo Shrine, in mezzo a migliaia di africani, ha lo stesso effetto di un bombardamento aereo improvviso.

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