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R Recensione

7/10

Seun Anikulapo Kuti & Egypt 80

From Africa With Fury: Rise

Nel caso non abbiate appreso dai media italiani dell’attuale guerra civile scoppiata in Nigeria (cosa non difficile, visto che i telegiornali nostrani sono ormai una versione video di “Cronaca Vera”), sappiate che più o meno è andata così: Muhammadu Buhari, presidente uscente e candidato musulmano del Nord, ha perso le elezioni contro il candidato cristiano del Sud, tale Goodluck Jonathan. Come ogni bravo dittatore militare, Buhari “non accetta” la sconfitta (di misura tra l’altro, 22 milioni di voti contro 12), accampa questioni ideologiche (“ce l’hanno con me”), la butta in caciara sulla religione e – al solito – iniziano a morire centinaia di civili innocenti.

Nel 1984 questo enorme coglione aveva un altro problema, che non era cristiano e che alle elezioni non era neanche riuscito a presentarsi, purtroppo. Questo problema era Fela Kuti, leader culturale del popolo Nigeriano e padre della musica Afrobeat. Buhari ne aveva disposto l’arresto con un'accusa falsa (per ammissione del giudice che lo aveva condannato) di traffico di valuta e Fela, dopo venti mesi di carcere, gli aveva dedicato qualche verso al vetriolo in “Beast of no Nation” (“Un mondo in mano a Buhari/ un uomo folle, un animale con la pelle da uomo”).

 

Nel frattempo, il mondo “culturale” occidentale sembra essersi accorto della grandezza del Fela Kuti musicista, al di là delle considerazioni più o meno politiche che da sempre ne accompagnano la figura. Broadway gli ha dedicato un musical di enorme successo, le ristampe della sua corposa discografia si susseguono a ritmo serrato (Knitting factories, Wrasse records …), e adesso anche i suoi figlioli cominciano a dare qualche soddisfazione. E se l’anno scorso il più vecchio, Femi, aveva confermato per l'ennesima volta di avere assimilato la lezione paterna, quest’anno tocca al più giovane (classe 1982), rivelarsi al mondo come il più credibile erede di cotanto padre.

 

In questo senso – va detto – nel ritorno di Seun Kuti (e ancora di più nel suo primo album “Many Things”) ci sono alcuni passaggi di pura didascalia afrobeat, riproduzione fedele di tutti gli stilemi del genere, dai tempi ritmici alle frasi dei fiati, dai cori femminili ai temi trattati nei testi. Peccato veniale, se si considera il peso abnorme di quel cognome e soprattutto un genere musicale così culturalmente e geograficamente localizzato da prestarsi poco ad evoluzioni o sperimentalismi di sorta. E ancora, l'effetto deja-vu è non solo dovuto, ma voluto, perché lo scopo non dichiarato del giovane Seun è proprio quello di seguire il filo di quella narrazione bruscamente interrotta dal padre. A tale scopo Seun riunisce la band di Fela, gli Egypt 80, capitanati da quel Lekan Animashaun (settantacinquenne sassofonista) che fu al fianco di Fela fin dalla prima formazione dei Koola Lobitos (parliamo del 1965...).

 

Questo non significa in nessun modo che un brano come “Slave Masters” (verboso “call and response” su percussioni sincopate) sfiguri all'interno del disco o non renda giustizia alla figura paterna, ma semplicemente che oggi – anno 2011 – un disco come “From Africa with Fury: Rise” entusiasma e stupisce proprio laddove reinnesta le profonde radici afrobeat in solchi sonori meno convenzionali, nel tentativo – rispettoso e riuscito – di rendere attuale non solo il suono di quella tradizione, ma addirittura lo spirito. In questo senso, un pezzo come “Rise” è una rivelazione per come riesce a diluire le frenesie ritmiche afrobeat in un mare di suoni “global”. Un mare che riceve affluenze jazz, funk, rock, latine e pop, che tiene fede alle atmosfere afrobeat ma ne intarsia il consueto incalzare “afro” con introduzioni strumentali, pause, trombe vagamente “mariachi”, cori e linee vocali più libere. “Rise” è l'afrobeat 2011.

 

Il resto è comunque ottimo, tra accademia di lusso (“The Good Leaf”), papà Fela chiamato in causa qua e là (“Mr Big Thief” riprende il discorso iniziato con “International Thief Thief”), una produzione perfetta (Brian Eno, John Reynolds...) una durata media dei brani minima per il genere (un giorno qualcuno mi disse “A me Fela Kuti piace, ma le canzoni dovrebbero durare la metà”) e almeno un paio di pugni nello stomaco ben assestati: l'iniziale “African Soldier” mostra subito gruppo e solisti in stato di grazia, con Seun che sembra davvero la reincarnazione di Fela e una band che fa vibrare bassi e percussioni come un motore nuovo di zecca. A seguire, ripartenze forsennate e un impianto vocale “call & response” da lasciare senza fiato (“You can Run”). Ma soprattutto due sensazioni: la voglia di vedere tutto questo dal vivo, e l'impressione che il vecchio Fela – da lassù – stia sorridendo.

 

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Paolo Nuzzi (ha votato 7,5 questo disco) alle 15:55 del 8 ottobre 2015 ha scritto:

Molto buono, al pari col precedente. Dal vivo devi assolutamente vederlo, io ho avuto la fortuna: sembra la reincarnazione del padre.