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R Recensione

7/10

Zieti

Zemelewa

Serigne, nato in Senegal quarant' anni fa e residente in Italia da venti. Lo incontro spesso perchè lavora in un hotel vicino a casa mia. Lo hanno assunto perchè è alto quasi due metri e ha due mani che se dovesse fare il pizzaiolo non avrebbe bisogno della pala, la sua laurea in ingegneria meccanica - per fare il portiere/guardiano/addetto alla sicurezza - non serve. Qualche sera fa, in giacca, cravatta e scarpe nere lucide numero cinquantadue, mi impartisce una lezione di storia che toglierebbe il sonno ai nostri politici. E con politici intendo tutti, da quelli che albergano in Parlamento da quarant'anni a quelli che vorrebbero occuparne una stranzetta usando termini come "percorso", "progetto" e "dialogo", da quelli che credono sia sufficiente essere giovani per essere "nuovi" a quelli che vogliono farci credere che si occuperanno di politica senza mai farne parte. Dice Serigne, schiacciando le consonanti del suo italiano preciso: "Meno male che adesso c'è la crisi, così ci viviamo anche noi i nostri cinquanta o sessant'anni di oppressione, e quando non ci sarà più nessun motivo per sopportare ci riprenderemo il nostro paese". Dice proprio così, "il nostro paese". E spiega: "Per adesso tiriamo avanti, abbiamo qualche soldo messo da parte dai nostri genitori (credo parli per me e non per sè stesso, ndr), le cose essenziali possiamo ottenerle. Ma quando ci accorgeremo che non potremmo lasciare niente ai nostri figli vedrai. Perchè anni e anni di niente ti portano a desiderare tutto. In Senegal adesso si sta bene, perchè la gente non ne poteva più di Wade e della sua didattura mascherata, perchè in trent'anni di storia il Senegal ha avuto solo due Presidenti. Adesso la gente controlla la situazione politica, vuole sapere, vuole progredire, vuole che l'Africa cresca come è cresciuta l'Asia. Hai visto cos'è successo in Egitto, in Siria, in Libia? L'Africa sta decidendo il proprio futuro, una cosa che al nostro paese sembra non interessare più. Ci vorrà tanto tempo, perchè gli Italiani sono come gli Africani, sanno resistere, ma prima o poi anche la resistenza ...".

Serigne, ma che ne so io della resistenza, mio nonno mi raccontava qualcosa della Resistenza, ma io al massimo ho resistito all'anestesia del dentista, a un prelievo di sangue, a un pugno in faccia. Resisto ogni giorno alla maleducazione, all'impulso di farmi giustizia, alle notizie di Studio Aperto su Belen. Ma è davvero poca cosa. Mica è come da voi in Africa, che dovete resistere al caldo, agli insetti, alle dittature, alla povertà e ai turisti europei contemporaneamente. Mica è come in Costa D'Avorio, che per registrare un disco gli Zieti ci hanno impiegato - tra fughe, colpi di Stato e vari incidenti - più di dieci anni.

 E allora godiamocelo, questo ennesimo prodotto dell'"Africa che cresce" politicamente, economicamente e culturalmente. La crescita africana è solida perchè sa guardare alla cultura occidentale senza rinunciare alla propria tradizione, senza creare copie, limitandosi a cercare (sacrosanti) riconoscimenti senza compromettere l'integrità del suo messaggio. L'incontro tra musica africana e occidentale non è più solo "Paul Simon with Ladysmith Black Mambazo" o (peggio) "Youssou N'Dour feat. Pupo e Paolo Belli". Il "ponte" tra Africa e Stati Uniti nel caso degli Zieti è quasi "fisico": la band infatti nasce alla fine degli anni '90 dall'incontro tra due Ivoriani (Yeoue Narcisse - cantante, e Tiende Laurent - chitarrista) e due americani all'epoca residenti in Costa D'Avorio (Michael Shereikis - chitarrista e noto etnomusicologo, e Alex Owre - batterista). I quattro iniziano a suonare e comporre ma la storia, che è la solita storia di un' Africa martoriata da guerre, colpi di Stato e instabilità politica, deciderà per loro. Nel 1999 i due americani sono costretti alla fuga e il progetto Zieti si sfalda tra Costa D'Avorio, Liberia, Maryland e Maine. Più di un decennio dopo, la tecnologia e il legame inscindibile tra i componenti della band nato durante quelle session, rendono finalmente disponibile "Zemelewa", che recupera parte di quelle idee (le registrazioni sparirono durante il colpo di stato del 1999) e le riassembla con l'intervento dei quattro componenti originali e di una lunga serie di ospiti, anch'essi trans-continentali: Atta Addo (percussionista, già collaboratore di Hugh Masakela, Toots & The Maytals, Orlando Julius e Alhadji K. Frimpong), Brian Simms (noto organista statunitense), Mark Gilbert (storico sassofonista collaboratore di gente come The TemptationsThe Four Tops).  

Il risultato di questo lavoro di ricostruzione paziente e travagliato (la cosa più difficile sembra sia stata ricontattare Tiende Laurent, impegnato a lavorare nella fattoria di famiglia e telefonicamente irraggiungibile) è contenuto in queste dodici tracce profondamente radicate in quel pezzo d'Africa in cui sono state generate quanto libere di esprimere legami con il blues, il rhythm & blues e il folk. E' tangibile il senso di "solidarietà" che ha portato questo gruppo di musicisti (più di dieci, in totale) a continuare una collaborazione che - contro ogni avversità - ha tracciato un ponte di note da una parte all'altra del mondo.

Nella prima traccia ("Zemelewa") è subito evidente l'incontro tra i ritmi africani e il lavoro di Brian Simms (organo + fisarmonica), mentre la successiva "Zion Do" è probabilmente l'apice del disco, un omaggio alle origine divine della creatività costruita su un ritmo velocissimo a sostegno delle trame intessute da chitarre, flauto e voci. Non c'è solo consapevolezza politica ("Politiki") e spitritualismo nella musica degli Zieti, un posto importante viene dato anche all'amore ("Tche" è una sorta di love-ballad per voce, chitarra e fisarmonica), all'amicizia ("Natablehon") alla convivenza civile ("Tindehe", "Patriote") e al problema sempre presente dell'AIDS ("Djemin", "SIDA").

"Zemelewa" è ricco di momenti di pura bellezza: "Patriote" è un mantra dub fumoso e caldo, carico di vocalità gospel e screziato da un sassofono "sexy", "Djemin" sfrutta la fisarmonica per generare un curioso ibrido gipsy-jazz in salsa africana, "Politiki" è un esempio attualissimo di puro afrofunk, "Bah Bohi" è un blues indolente cantato in falsetto; ma è l'intero disco - dall'inizio fino al finale Santana-style di "Zre" a stupire per la sua compattezza, la sua fantasia e la sua "mondialità".

Hanno fatto bene a resistere gli Zieti, e hanno fatto bene a pubblicare questo ottimo disco d'esordio. Perchè resistere è importante, ma ad un certo punto bisogna agire.

 

 

 

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