V Video

R Recensione

7/10

Pontiak

Comecrudos [EP]

Non è da dove vieni, bensì è dove stai andando ciò che conta

Virginiana di nascita, mama jazz di necessità, cittadina del mondo per adozione. Nella sua vita Ella Fitzgerald ha molto sofferto. Molto cantato, anche, e superbamente. Di tanto in tanto, fuori dalla vita privata e dagli impegni lavorativi, diceva alcune cose. Poche, sporadiche. Ma tutte estremamente centrate. Poco importa che, sessant’anni dopo, anche Lain, Van e Jenny Carney siano stati partoriti dalle terre fertili e verdeggianti del piccolo stato americano: la coincidenza, di scarso interesse collaterale, è puramente funzionale al discorso. Ciò che realmente ci incuriosisce è capire verso cosa si stiano dirigendo i tre fratelli statunitensi. Tre giovani come tanti, figli della campagna e della buona volontà, da qualche anno corpo anomalo orbitante nel mondo della tradizione heavy-psichedelica a stelle e strisce e nuova generazione di musicisti capace, in pochissimo tempo, di catalizzare su di sé l’attenzione di un intero universo. Passaggio numero 1, approdo ed approccio filologico. Passaggio numero 2, desertificazione ed allucinazione. Passaggio numero 3, scarnificazione e minimalismo ritmico. La meta, di capitolo in capitolo, si sposta sempre più in là sull’orizzonte grandangolare della Valle dello Shenandoah, senza che vi sia la certezza di catturarla e farla propria. Non rimane altro che partire. Viaggiare. Andare, ancora, immersi in un paesaggio che è sentinella, compagno d’avventura e fondamentale sua componente.

Non posso sapere, onestamente, a cosa pensassero i Pontiak, nel preciso istante in cui i quattro movimenti di “Comecrudos” si materializzavano concretamente frammezzo alle spire di una scrittura densa, magmatica, unica nel suo genere. Mi piace pensare alle loro barbe svolazzanti nell’aria frizzante di una giornata primaverile, alla guida di un pick-up con dietro caricati tutti gli strumenti. L’idea primigenia, il germe generativo potrebbe essere stato questo: music for the loneliest travellers. Qualcosa da ascoltare in silenzio, tra sé e sé, senza intrusioni esterne. Dura appena venticinque minuti, “Comecrudos”. Niente di più che un EP di corredo al sostanzioso “Living” dello scorso anno, si potrebbe pensare. Ed invece no. Non solo perché il tipo di sperimentazione condotta riemerge, per l’ennesima volta, agli antipodi della precedente, ma anche perché il suono ivi contenuto si espande ad una velocità ed una struttura ben differente rispetto al full length già citato: una manciata di minuti di disavanzo e saremmo qui a strillare di un nuovo album. Meglio rimanere nell’indefinitezza e nell’ombra: ci si abitua più in fretta al mood delle composizioni.

Comecrudos” è un serpente che rizza la testa dal fango e fa saettare pericolosamente la lingua nel vuoto, soffiando con tutta la sua forza negli ottoni di “Part I”, per incitare allo scontro. Il campo di battaglia è ricoperto da disarmoniche scariche di feedback e droni ronzanti, sezionato dalle chirurgiche lame di soffuse trombe cool jazz che vanno e vengono, staffilano e si ritirano in avanguardia. I colori iniziano a sfumare sugli arpeggi acustici di “Part II”, sospensione arcadica appena tamburellata dalla batteria ed impregnata di americana sin dentro il midollo, come se Tom Petty avesse dato una botta in testa ad Angelo Badalamenti e si fosse messo a scrivere di suo pugno la colonna sonora di “The Straight Story”. Le pulsazioni psichedeliche di “Part III” divagano, per qualche minuto, in territori cari ai Motorpsycho, prima che venga suonata di nuovo l’allerta – sezione fiati davvero spettacolare – ed il blues in disfacimento si transustanzi in una sua forma tattile, felpata, cruda e desertica, attraverso ballata per slide, voce massiccia e battiti essenziali di drum kit. La finale degenerazione spettrale, racconto musicato di miraggi notturni e highway sperdute solcate tra polvere e bagliori crepuscolari, è affidata ad una “Part IV” che si regge interamente su spazzole, riverberi di chitarra ed un meraviglioso, abbacinato organetto.

Dove stanno andando i Pontiak? Ancora non lo sappiamo. A giudicare dal numero di parole spese per un "semplice" EP, però, il traguardo dev’essere davvero qualcosa di memorabile.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
varlem 7/10

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

varlem (ha votato 7 questo disco) alle 23:11 del 21 dicembre 2011 ha scritto:

...e 7/10 sia per un buon EP proposto da una band ottima che ad ogni uscita mostra un volto nuovo ed interessante. Le premesse per altri grandi lavori ci sono.

Magnifica e centratissima recensione