John Zorn
FilmWorks XX: Sholem Aleichem
Facciamo rapidamente due più due: lo scrittore ed umorista ebraico più famoso dellOttocento viene omaggiato di un documentario, successivamente musicato da uno fra i compositori e musicisti più strabilianti del secolo in corso, anchesso ebraico. Che, come sua consuetudine da un po di anni a questa parte, si limita solamente a scrivere tutto il materiale, lasciandolo poi suonare ad altri, strabilianti strumentisti, di chiarissima estrazione ebraica. Quale musica potrà mai saltare fuori da questo studio di registrazione? Ma è ovvio: del sano e passionale klezmer!
Se i complimenti vanno di dovere a chi ha deciso di estrarre una pellicola dallintensa ed articolata vita del grande Sholem Aleichem (a quando farlo studiare nelle scuole?), è altrettanto scontato che il plauso si estenda a questo ventesimo, omonimo capitolo della serie FilmWorks, colonne sonore realizzate da John Zorn e dalla sua inseparabile cricca per film underground, piccoli cortometraggi ed autobiografie dimpatto mediatico pressoché nullo. Maniacale il lavoro del sassofonista americano: non solo questo nuovo lavoro arriva a pochi mesi dal precedente, estasiante The Rain Horse, ma farà addirittura il paio con unaltra soundtrack di prossima uscita, anche se di lignaggio per ora ancora ignoto.
Ancora niente direttamente Zorn, dicevamo. In compenso, però, troviamo dei nomi che, da soli, basterebbero a far morire dinvidia ventanni di musica tutta: Rob Burger alla fisarmonica, Carol Emanuel allarpa e, come se non fosse sufficiente, nientepopodimenoche il Masada String Trio al completo. Cose turche, eppure basterebbe anche una minima conoscenza dellambiente jazz newyorchese o, in alternativa, laver ascoltato un paio di dischi del suddetto per poter davvero comprendere la grandezza dei nomi in azione.
Musica leggera, quindi, quella di Sholem Aleichem, ma allo stesso tempo multiforme ed umorale. Inevitabile porre dei confronti, in questo caso, non tanto fra lo scrittore ed il film, quanto fra la personalità di Aleichem ed il suo coronamento musicale. Fine satirico, raffinato novelliere delle tristi realtà est-europee allinizio del XX secolo, il nato ucraino simpose al pubblico grazie al suo, ormai celeberrimo, Tewjè, lattaio protagonista di una lunga serie libraria fra il 1894 e il 1916, personificazione delle difficoltà quotidiane sopportate da un individuo medio che, nonostante tutto, riesce a superarle grazie al gioco, allo scherzo e allamore. Comicità sì, ma sempre pervasa da unarteria nera, da un chiaroscuro umorale molto particolare.
Ecco dunque che questo eterno contrasto, questo strambo retrogusto dolceamaro tipico della prosa di Aleichem si rispecchia pienamente in questi dodici, nuovi, differenti temi. Lapertura è fulminante: in Shalom, Sholem! fisarmonica e violoncello si rincorrono e si intrecciano, sfumando malinconicamente su un tappeto di respiro assai più ampio e concentrando così, in poco più di due minuti, una quantità di immagini visive impressionante.
Eccezionale è il lavoro di Carol Emanuel: Nekubolim, di una profondità e di uno spessore musicale impressionanti, si eleva ulteriormente proprio grazie allarpista statunitense, che ne arricchisce la struttura con luminose trine semplicemente bellissime allascolto. Lo stesso accade per Mamme Loshen, più crepuscolare e cadenzata, klezmer screziato di sirtaki, dove la prova di Burger può ricordare da vicino le eccellenze del fu, quindicesimo, Invitation To A Suicide. Poco da contestare anche in Lucky Me, Im An Orphan!, dal tessuto semplice e vibrante, con un violino libero di svariare per ogni dove.
Sarebbe però ingiusto non sottolineare che, nonostante lineccepibile bravura degli artisti allopera, e lestrema validità della tecnica compositiva di Zorn, queste sono canzoni che, per un motivo o per laltro, non riescono ad aderire così bene come già era successo con The Rain Horse. Jewish Revolutionaries, fulcro del disco, con una forte impronta del Masada String Trio, è lultima voce davvero importante del lotto. Ci si destreggia poi fra episodi molto buoni, anche se un po dordinanza, come Luminous Visions, classico andantino zorniano, ed altri invece meno freschi (limpetuoso contrabbasso di Shtetls, un po noioso, e Nicht Gefährlich, irrisolta).
Aspettando, per la prossima volta, risposte altrettanto valide, ma più solide e concrete, non ci rimane che guardare il lungometraggio.
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