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R Recensione

8/10

John Zorn

O'o

Anche in casa Zorn, seppure con ritardo e dispendio di energie, è arrivata l’estate. Cosa fare, dunque? Abbandonare per qualche tempo gli studi di registrazione, staccare dal lavoro e dalle infinite tournèe in giro per il mondo e concedersi, con il beneplacito degli onnipresenti amici collaboratori musici, qualche settimana di vacanza sul mare che bagna la Grande Mela? Affatto, anzi: si suona più di prima. E così sia, tutti chini sui propri strumenti, dentro piccole stanze arse dal sole, per dare vita ad un disco che sappia, paradossalmente, di vacanza e disimpegno. Permeato, diciamo, da un’atmosfera – come dire? – esotica. Una culla per le passeggiate lungo la battigia o gli after hours in compagnia degli amici.  

Non è certamente la prima volta che si hanno equatoriali virate di questo tipo da parte dell’infaticabile istrione cinquantaseienne, e più di qualcuno lo saprà bene: eccettuati alcuni, sporadici sconfinamenti, con rum e tequila in mano, all’epoca dei Naked City, il grosso della ricerca si è concretizzato, quale più e quale meno, tra i primi volumi del canzoniere Masada (il primo, l’originale), alcuni del seguito Book Of Angels, il raffinato “The Gift” del 2001 (quasi un compendio della bravura innegabile di Marc Ribot) e, in mezzo agli ultimi lavori – se di “ultimi” si può parlare – “The Dreamers”, datato 2008, una summa del meglio dell’easy listening (e non solo) zorniano. “O’o” riparte esattamente da qui, dove “Raksasa” aveva lasciato e, come quasi tutti i compagni che giacciono nel catalogo tzadikiano, la sua genesi è segnata da un protettore, l’omonimo volatile tropicale (…ma va?) che trovò l’estinzione, per mano dell’uomo, qualche secolo fa. Ritornando, però, colorato e squillante, sulla copertina del cd.  

Inavvertitamente, abbiamo già fornito all’ascoltatore due aggettivate direttive importanti per approcciare questi dodici, nuovi brani. Dato per certo di aver accolto, in sunto, la fruibilità di quanto inciso, come accade ormai da qualche tempo nel nuovo orientamento made in Zorn (che l’avanzare dell’età stia aumentando l’idiosincrasia per il puro e semplice rumore? Speriamo di no), rimangono da fare pochi, semplici distingui di fondo, per restringere il mirino della classificazione sino ad ottenere una precisione (quasi) assoluta. Cosa cambia, rispetto ai capitoli precedenti? Quasi nulla di surf, anzitutto: la chitarra del solito Ribot si sente, in più punti, ma è spesso e volentieri avvolta su sé stessa in desertici miraggi (“Po'o'uli”, anche se esacerbata al massimo, è assai descrittiva) e ben poche volte si lancia in quelle tirate hard rock da Guitar Hero di cui sono tempestate discografia personale ed Electric Masada (ma i risultati, come nel lounge di “Zapata Rail”, sono ancora da vero numero uno). La presenza al piano e al Fender Rhodes di Jamie Saft, figlioccio di John tornato all’ovile dopo l’esperienza metal di “Black Shabbis”, viene altresì incrementata fino a ricoprire un ruolo decisivo nell’economia di “O’o”: basta sentirsi “Mysterious Starling”, klezmer neoclassico sopraffino, o la coltre malinconica e crepuscolare di “Kakawahie” – unico episodio meno “caldo” e più notturno - , per rendersene conto.

Più compattezza e meno dispersione stilistica rispetto a “The Dreamers”, nonché un piglio decisamente più fermo, roccioso, in un certo senso rock, al contrario delle sfumate ombreggiature del cugino, giovano complessivamente all’ascolto, che si potrà distendere maggiormente con il jazz coniugato in bossanova di “Miller’s Crake”, l’avanzare quadrato di “Little Bittern”, sei minuti e mezzo e non sentirli – come se i Portishead avessero collaborato con il Jimi Hendrix di “Electric Ladyland”, verrebbe da dire – o la scioltezza del vibrafono di Kenny Wollesen nel girotondo di “Laughing Owl”. Poche eccezioni alla regola, in questo senso, se si escludono la classica samba d’incastro (“Solitaire”) e due fenomenali centri di pura classe, come possono essere “Magdalena”, klez-rock imbevuto nella psichedelia lisergica, e l’ancora migliore “Piopio”, afoso swing dominato dalle percussioni di Cyro Baptista.  

Sperando, masochisticamente, nella scomparsa di qualche altra specie protetta.

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 11:59 del 24 settembre 2009 ha scritto:

Non so se mi piacciono di più questi dischi exotic-lounge (perdonami John...) Zorniani oppure il Bisius che descrive questi dischi exotic-lounge Zorniani.