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R Recensione

8,5/10

The Clash

Sandinista!

Mio zio mi racconta che, quando ero praticamente in fasce, mi scorazzava in giro per il nord Italia e metteva nello stereo le tre musicassette di "Sandinista!".

Racconta anche che, davanti a quel groviglio di suoni e di ritmi impastati, io abbozzavo goffi tentativi di ballo, mentre sulla faccia mi si disegnava un enorme sorriso a 32 denti (da latte).

Ecco, io credo che Strummer e Jones esercitino su di me un fascino oscuro anche perché scavano dentro la mia memoria e il mio subconoscio, scovando frammenti di un'infanzia oramai lontana e felice.

Per questi motivi, non saprei mai parlare male di un disco che ha segnato così profondamente il mio rapporto con la musica.

Ciò premesso, cerco di essere il più obiettivo possibile, provando per una volta a separare l'uomo dal critico (impresa per me decisamente ardua).

"Sandinista!" è un gigantesco, estenuante fiasco, il capolavoro epocale abortito di un un gruppo di reduci dal punk. Ma è anche il disco più coraggioso e complesso della loro carriera, un'enorme brulicare di idee, spunti, invenzioni.

Se "London Calling" ha decodificato il concetto di genere, "Sandinista!" l'ha definitivamente messo a prendere polvere, mostrando al mondo una band matura, eclettica, radicale.

Perché quindi, alla fine, questo è capolavoro epocale sfiorato? La durata. Non esiste gruppo rock che possa sostenere 145 minuti di musica per 36 brani che spaziano dallo shuffle al dub più atmosferico senza degenerare.

Per la verità, i Clash avevano già fatto passi da giganti in direzione musica totale con "London Calling", destinato a regnare incontrastato come capolavoro della loro carriera e come gemma assoluta della new-wave britannica più accessibile.

"London Calling" è un capolavoro fatto e finito perché, a dispetto dei temi musicalmente semplici, spesso elementari, è sorretto da un'ispirazione senza pari, è spinto da una convinzione arcigna. E trasmette una determinazione cieca, spiattellandoti nel salotto di casa 19 brani caricati da un pathos quasi fisico, verniciati da un'aura magica irripetibile, che li rende insospettabilmente coesi.

"Sandinista!" va oltre, ma rappresenta anche una piccola involuzione. E il motivo, come detto, è la sua tendenza alla dispersione: "Sandinista!" è ovunque, è troppo vasto e quindi rischia di perdersi in un marasma di idee, invettive e analisi mai visto in un disco di musica rock.

Ciononostante, quando azzecca il pezzo e l'atmosfera, il triplo che battezza gli anni '80 (venduto peraltro al prezzo di un doppio) non ha nulla, ma proprio nulla da invidiare a "London Calling", del quale anzi rappresenta l'evoluzione in termini di produzione.

E i pezzi azzeccati, manco a farlo apposta, sono una marea, la larga maggioranza. Sono così tanti che offrono a Strummer & C. l'occasione per srotolarci sotto gli occhi un'infinità di problematiche personali e sociali, consacrandone lo status di band impegnata per eccellenza del post-punk.

Si passa infatti dal sistema gerarchico inglese, su cui Jones spara sempre con un certo compiacimento, alla guerra in Vietnam; dagli ovvi guerriglieri sandinisti alle barricate londinesi di fine anni '70 , dalle discriminazioni del Sudafrica fino alla guerra fredda; dalla ventata di gioia che ancora deve sostenere la gioventù, concetto quasi metafisico cui i Clash aggrappano le loro speranze, alla fede nel potere incantatorio e motivazionale della musica.

Oltre a tutto quanto sopra, il disco è anche e soprattutto un corso accelerato di produzione, un viaggio alla scoperta delle novità partorite da produttori come King Tubby e dai più rivoluzionari esegeti della musica giamaicana.

Le escursioni nel dub e nel reggae in effetti sono la colonna portante del triplo: basti un ascolto al basso gommoso di "Junco Partner", fra i reggae più entusiasmanti della loro carriera, peraltro la cover di un classico r'n'b da New Orleans; oppure si dedichi qualche minuto allo strimpellio vivido e vibrante di "One More Dub", a "Kingston Advice", a "Living in Flame" (forse uscita da qualche party fumato di casa Marley), o ancora a "The Equaliser" (con tanto di violini immersi fra effetti produttivi smaccatamente dub come riverbero ed eco sinistra).

Oppure, si pensi al reggae-shuffle del capolavoro "Charlie don't Surf", il pezzo melodicamente più spettacolare dell'opera, sentita arringa contro il fanatismo marine che demonizza Charlie (secondo Apocalypse Now, il vietnamita), brano di ampio respiro e dalle ambizioni quasi filosofiche.

I passaggi cruciali però si scovano anche di fuori del perimetro Giamaica: "Hitsville UK" è un pop istrionico dalle sfumature zappiane, con tanto di coretto di voci femminili; "Something About England" è pop orchestrale sulla falsariga di "The Card Cheat" da "London Calling", con i fiati che spingono e una melodia cristallina che ruota senza intoppi (mentre un vecchio barbone riscrive la storia della Gran Bretagna sin dai tempi della Grande Guerra); "Rebel Waltz" è un piccolo saggio di sinistra musica ballabile fedele al titolo nella costruzione ritmica, mentre "Somebody Got Murdered" è un assalto frontale di pop-rock (così come la frizzante "Police On My Back", cover di un vecchio brano dedicato all'apartheid sudafricano), che scolpisce un'invenzione melodica felicissima.

"Corner Soul" è funk-rock epico e cantabile che - benché velato da un'atmosfera impaurita in stile roots-reggae - potrebbe stare anche su "London Calling", mentre lo splendido strumentale "If Music Could Talk" è reggae-soul jazzato (le eccellenti evoluzioni del sassofono tenore) da brividi, che potrebbe durare mezz'ora senza annoiare mai, anche perché alla voce si danno battaglia i due leader Jones e Strummer ed è sempre un bel sentire. "Washington Bullets" è una filastrocca dalle sfumature caraibiche che mette alla berlina l'imperialismo americano in Sudamerica e la sua propaganda (che definisce sandinista chiunque azzardi esprimere dissenso), così come ogni forma di dominio illegale e violenta, anche di marca sovietica.

Altrettanto soft nelle sonorità e impegnata nei contenuti è la disco-music funkeggiate di "Ivan Meets I.G. Joe", parodia di un immaginario incontro sulla pista da ballo fra un militare americano e uno sovietico, mentre "The Sound of Sinners" è rock'n'roll a rotta di collo che prende le distanze da ogni forma di religiosità.

Per evitare che la recensione diventi una track-list, mi fermo qui, ma lasciatemi citare quantomeno la bizzarra versione per bambini di "Career Opportunities", che sul disco di debutto era un punk melodico ma inferocito, e che qui invece diventa pop quasi gentile, e la splendida intro di "The Magnificient Seven", pop-rock energico in puro stile Strummer.

Alla fine, si resta frastornati davanti a una simile prova di forza: forse non tutto è perfetto, ma questi sono i dischi per cui amare la musica.

V Voti

Voto degli utenti: 8,2/10 in media su 16 voti.
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zagor 7/10
REBBY 8,5/10
borgian 10/10
LucaP 10/10
B-B-B 7,5/10
Lelling 7,5/10

C Commenti

Ci sono 22 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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zagor (ha votato 7 questo disco) alle 20:36 del 29 ottobre 2014 ha scritto:

Troppo verboso e dispersivo, comunque ci sono i suoi momenti di valore. Ottima recensione!

Totalblamblam (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:48 del 29 ottobre 2014 ha scritto:

è il loro white album. a me piace da morire e lo ascolto anche più volentieri del granitico london calling

benoitbrisefer (ha votato 7,5 questo disco) alle 22:53 del 29 ottobre 2014 ha scritto:

Condivido totalmente il punto di vista della recensione... troppa carne al fuoco!! Un'accurata selezione dei brani e una riduzione ad un solo (massimo doppio) vinile ne avrebbe fatto l'ennesimo capolavoro dei clash. Così è solo un ottimo disco.

FrancescoB, autore, alle 12:15 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

Il mio punto di vista è più "obiettivo" quando dico che ci sono diversi riempitivi, ma il cuore dice che questo è un disco infinito e fantastico, ho cercato di mediare le due prospettive!

REBBY (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:49 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

Dal mio punto di vista dire che è il loro White album e dire che è un disco fantastico (o mi piace da morire), nonostante alcuni "riempitivi" è la stessa cosa eheh

Come l'album dei Beatles anche questo è molto eterogeneo, si il paragone mi sembra azzeccato.

Io in diretta ho comunque preferito i primi 2 (si anche il secondo generalmente più bistrattato), ma fino a quello successivo incluso li ho presi tutti e ne è sempre valsa la pena.

Totalblamblam (ha votato 8,5 questo disco) alle 13:47 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

beh ricordiamoci che i Clash partono come una punk band. non so quante poi si siamo evolute producendo un album, triplo, che al passo coi tempi mescola world music funk reggae dub e altro. si può risultare "verboso e dispersivo" ma ad avercene di uscite così anche oggi. leggo ora su wiki che un certo Piccarella (Rollong Stones) l'aveva già comparato al white album. mi ha copiato lui ! a me è uscito di getto ieri sera per il nervoso della sconfitta a genova

Marco_Biasio alle 20:08 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

I Minutemen

Totalblamblam (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:28 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

vero! grandissimi ma si sono fermati alla doppia sveltina hardcore. dovevano osare il triplete anche loro . dr paul si posso capire che ti piaccia di più london calling ma sono due proposte diverse che non si possono accostare. quello è un disco punk rock perfetto sandi è lo sballo di tanti generi diversi. certo io non me lo sono mai sparato tutto di fila eh è il vantaggio del vinile su ciddi sarà un macigno ...

Dr.Paul alle 0:02 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

be' in parte dissento, London Calling non è un disco punk rock....il crossover perfetto è su LC......

Totalblamblam (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:40 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Come osi? hahahah. Si se ne può discutere a lungo. Non so cosa tu intendi per crossover di preciso (world music?) ma la mia idea è che LC resti fondamentalmente un disco punk rock con forse i primi sintomi , accenni di “contaminazione”? che dici tu. E’ un disco retrò e nostalgico che va sul sicuro. I generi che mescola sono spruzzatine di ska, rockabilly e dell’ immancabile reggae della band punk. Ma sono generi ”vecchi e reazionari”. Quindi se c’è del crossover è nostalgico commiato di roba “vetusta”. L’esplosione vera avviene per me con Sandinista. LC conclude un ciclo (quello dell’ ideologia punk), ma è Sandi che ne apre un altro quello appunto del crossover (?). Tutte le influenze extra che si sentono in LC (già da Jimmy Jazz) sono sempre convogliate sul binario punk rock perché quello è l’intento dell’album celebrare il rock and roll nelle sue visceri più intime (non a caso il secondo brano è un classico del genere di Vince Taylor ). Già dalla copertina elvisiana il manifesto di intenti è quello. Simonon che sfascia il suo basso ricorda le gesta degli Who ma anche la fine di un’epoca. Probabilmente qua risiede la sua indiscutibile grandezza: in questa perfetta celebrazione ahimè nostalgica dei tempi andati

Dr.Paul alle 14:30 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

ni, troppo lungo, bei momenti ma...troooooppo lungo....taglia porca miseria, taaaglia!! the magnificient seven, police on my back, career opportunities nella mia compilation ideale.....(bravo francesco)

Totalblamblam (ha votato 8,5 questo disco) alle 16:13 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

il problema del potare non si pone se hai il triplo in vinile. anche i magnetic fields ne hanno prodotto uno snervante non vedo poi tutto questo problema. smetti e ascolti altro. il giorno dopo lo riprendi e vai avanti. quel che conta è la qualità della proposta musicale e qui di certo non manca neppure nei riempitivi. però quest lavoro lo riprendi dopo tanti anni e ancora suona fresco e vitale. ne prendi tanti altri più o meno coevi e suonano muffosi datati stantii (perché lo erano di già ghhgh). questo non sembra invecchiato come tanta roba che so progressive BOOM LOL

Dr.Paul alle 16:58 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

be' d'accordissimo, io preferisco di varie tacche london calling a sandinista, ma sempre meglio questo di cose giurassiche tipo certo prog o metal!! ma questo è assodato!

FrancescoB, autore, alle 14:47 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

Io dico che con 23-24 pezzi questo era un disco non dico da 10 ma quasi, così mi sono limitato a un 8,5. Sicuramente hanno voluto un po' strafare, ma l'evoluzione resta sbalorditiva e le perle non si contano, questo disco ha tanti pezzi notevoli quanti quasi tutta la carriera di altre band.

bart alle 16:27 del 30 ottobre 2014 ha scritto:

Non ce l'ho fatta ascoltarlo per intero, quindi non posso dare un giudizio esauriente. Le canzoni iniziali mi sembrano carine, ma nulla di eccezionale. Sarà un problema mio, però continuo a pensare che siano un dei gruppi più sopravvalutati del mondo.

FrancescoB, autore, alle 13:56 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Gassed e Paul il discorso è interessante, io sto un po' in mezzo: per me già London Calling (che anche io alla fine reputo superiore per coesione, resa complessiva e impatto: lì veramente non c'è nulla fuori posto) è crossover, ma tutto viene convogliato verso la forma canzone e la melodia (semplice ma meravigliosa) la fa da padrona. Sempre.

In Sandinista i Clash forse esagerano, ma vanno anche oltre, con tutti i pro e contro del caso: sicuramente sono cresciuti come musicisti e come idee, e con una rapidità sbalorditiva, pensate al salto enorme fra "White Riot" e "If Music Coul Talk" (come ho scritto, un reggae jazzato impensabile).

Quindi ecco, London Calling è più centrato, un capolavoro fatto e finito, Sandinista più uno splendido esperimento che forse si perde un po', ma assimilato e gustato per bene resta tanta, anzi tantissima roba.

Rispondo anche a Bart: i gusti ovviamente non li discuto, ma i Clash secondo me sono il massimo simbolo di un'epoca, e hanno saputo catturare e rendere al meglio ciò che aleggiava nell'aria in quell'epoca. Evolvendosi musicalmente in modo rapidissimo e imprevedibile. Naturalmente, valutati da un punto di vista strettamente tecnico i Clash non hanno nulla di straordinario, ma la convinzione eccezionale dei loro brani, e il loro traboccare idee e spunti ogni 2 battute li rende imprescindibili e grandissimi. Io di questo sono convinto.

Ah, i Minutemen sono altrettanto grandi e sicuramente superiori da un punto di vista strumentale e compositivo in genere, ma i Clash recuperano il terreno perso con l'impatto melodico e la straordinaria resa emotiva dei loro dischi, che sono esperienze di vita più che semplici opere musicali.

bart alle 16:09 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Io non faccio valutazioni di tipo tecnico. Sicuramente preferisco i gruppi che sanno suonare come si deve, ma per me anche una canzone di tre soli accordi può essere un capolavoro. Non ce l'ho neanche con i Clash in particolare, è il punk in generale che non mi entusiasma. Sicuramente in questo disco, ma anche in London Calling, i Clash allargano i propri orizzonti musicali, e questo è ammirevole, quindi cercherò di ascoltare tutto il disco per intero e valutarlo con un voto.

Ho notato che tu ti occupi molto bene di jazz. Lì siamo decisamente su un altro pianeta.

FrancescoB, autore, alle 16:14 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Tecnicamente e per complessità del discorso senza dubbio, ma dipende anche da cosa uno cerca nella musica. E' ovvio che certe idee di Davis, Coltrane o Ellington ai Clash non potevano venire, ma impostato così è un discorso un po' snob e che porta a poco, la complessità è uno dei parametri di valutazione, ci sono cose semplicissime eppure meravigliose (anche in ambito jazz, semplicissime magari relativamente, ma ecco non così complesse).

Io adoro il jazz ma come credo si sarà notato ho un approccio molto viscerale e "di cuore", pur essendo molto interessato in senso lato agli aspetti tecnici della musica (non parlo solo di capacità strumentali ma anche compositive, di idee, e anche di produzione, effetti, studio come strumento etc...).

bart alle 18:13 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Non voglio essere snob, anche perché come generi musicali mi piacciono molto l'hard rock e l'heavy metal. Al jazz mi ci sono avvicinato da poco. Ma ci sono gruppi idolatrati ( oltre ai Clash anche i Beatles, i Depeche o gli U2) che hanno avuto una fama eccessiva per i loro effettivi meriti.

Giudizio personalissimo, s'intende.

FrancescoB, autore, alle 18:25 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Eh ma se sei un cuore di metallo è abbastanza normale che i Clash non ti facciano impazzire, lo stesso vale - dal mio punto di vista - per una fetta importante di gruppi metal, genere in cui di regola riesco poco a "entrare", ma credo sia più che altro un limite mio.

PetoMan 2.0 evolution (ha votato 8 questo disco) alle 21:45 del 31 ottobre 2014 ha scritto:

Il loro album più confuso, sfilacciato, disordinato... ma anche il più ambizioso, suggestivo, intrigante. Di certo non è un lavoro perfetto, ma forse il suo fascino sta proprio lì. In fondo, diciamolo, la perfeziona è anche un po' noiosa. Contrasto, senza contrasto non si va da nessuna parte. I brani "minori" hanno comunque l'importante ruolo di far risplendere meglio quelli più riusciti. Tutto ha un senso. Pezzo preferito The Leader, che è, rockabilly?

borgian (ha votato 10 questo disco) alle 9:46 del primo novembre 2014 ha scritto:

Capolavoro assoluto!Per me addirittura superiore a London Calling.A pensare che la prima volta che lo ascoltai ne rimasi quasi schifato tanto mi aveva spiazzato.Chiedere al vero fan dei Clash quale album è il loro migliore e di sicuro ti dirà:Sandinista