Ballaké Sissoko & Vincent Segal
Chamber Music
Adesso che i giochi sono fatti posso dirlo. Il mio disco del 2009 è questo. Anche se “mio” è l’espressione più infelice che si possa utilizzare di fronte ad un linguaggio così universale, di fronte ad una bellezza (sonora, visiva, percettiva) tanto evidente quanto discreta. Il problema è che quasi si prova vergogna, ad emozionarsi di fronte a questa bellezza. Si teme di essere giudicati infantili, pretenziosi, sfacciati.
Ballaké Sissoko proviene da una famiglia griot del Mali. I griot sono poeti/cantori che hanno il preciso compito di conservare la tradizione orale degli antenati. Fin da bambino lo strumento del cantore Ballaké è sempre stato la kora, lo stesso di Toumani Diabaté, con il quale ha inciso celebri duetti.
Vincent Segal è un violoncellista francese. Pur provenendo da una formazione classica, ha sempre condotto ricerche sperimentali sul proprio strumento. Questa volontà l’ha portato ad affiancare gli artisti più svariati (da Sting a Georges Moustaki a Blackalicious)
“Chamber music” non fa altro che unire questi due opposti. La musica diventa una forza invisibile in grado di far avvicinare due magneti con poli uguali. Non è neanche una questioni di titoli, di canzoni o cos’altro. Qui ci sono solo vaghi richiami, attimi di delizia sospesa, sentori d’Africa e vibrazioni da Classica contemporanea. Sperimentalismo metropolitano e tradizione del deserto. Qui non c’è più “noi” e non c’è più “loro”. Qui non c’è più niente che non sia collettivo, raccolto, profondo, cardiaco.
Basta sollevare la puntina del giradischi e farla ricadere su un solco qualsiasi. Le strutture circolari di “Houdesti” (impreziosite dal suono del balafon di Fassery Diabaté), i virtuosismi di “Oscarine”, i silenzi solenni di “Histoire de Molly”. In ogni minuto di “Chamber Music” si percepisce il connubio potente tra la ferma ispirazione di Sissoko e la spinta deviante di Segal. Proprio il francese, con il suo stile ricco ma mai troppo presente, dona linfa melodica alle strutture complesse di Sissoko, creando un viatico accessibile anche a quella sensibilità europea che difficilmente riesce ad apprezzare la musica tradizionale africana (a partire dallo stesso Toumani Diabaté).
E se ancora permanesse qualche malagevolezza, la voce di Awa Sangho (che rende “Regret - à Kader Barry” il pezzo più “concreto” dell’album, con il violoncello a creare nuvole che potremmo definire da “folk appalachiano”) e il finale affidato ad una calda, dolorosa e notturna “Mako Mady” faranno tremare le gambe anche ai più insensibili.
“Abbiamo costruito una complicità reciproca passo dopo passo. Oggi, quando suoniamo, ci capiamo senza dover dire una sola parola: basta uno sguardo. I nostri cuori sono uniti” . Ballaké Sissoko
Adesso anche i nostri.
Internet:
Video:
“Chamber Music” - http://www.youtube.com/watch?v=4h5dI6m6Eh8
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